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solamente trova pace nella visione sfolgorante del Bene.

Mai due temperamenti artistici, entrambi indiscutibilmente innamorati della Bellezza, furono più spiccatamente opposti.

Il Dazzi non vedeva che forme. Una testina dovuta al pennello di qualche freddo artefice della scuola fiorentina, una ballatetta assai preziosa ma di schietto sapore classico, un puro motivo di architettura greca lo accendevano del medesimo entusiasmo che suscitavano nell’anima, vibrante e moderna del Panerai, certe impressioni del Michetti, uno scorretto e generoso canto del Cavallotti, una cattedrale gotica lanciante in un fosco cielo la fierezza delle sue guglie.

Dai poeti di Giulietta e di Tecla, Napoleone Panerai mi conduceva dolcemente con sapiente ed agile gradazione alla conoscenza e quindi alla famigliarità de’ nostri più chiari ed amati scrittori moderni.

E mentre il Dazzi m’intratteneva intorno alle varie interpretazioni della Commedia dantesca e con parola imaginosa ricostruiva le caratteristiche figure dei poeti precursori: mentre m’invitava a dotti confronti sulle tre forme di poesia su cui l’Arte dell’Alighieri doveva elevarsi come monumento granitico su più fragili basi, il Panerai mi parlava del Carducci, del Panzacchi, di Ferdinando Martini, di Mario Rapisardi. E siccome (posso ben permettermi questo piccolo vanto!) ho letto sempre molto bene, così leggevo con lui che me ne faceva notare e gustare le bellezze, le odi più originali del Carducci, le tenere romanze del Panzacchi, gli spiritosi Proverbi del Martini e le splendide audacie del poeta catanese...