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Poco dopo, nella sala da pranzo dell’altro quartiere già riccamente addobbata dai tappezzieri, Capolino tentò di nuovo di "tastare il polso„ a don Cosmo sul noto argomento. Non sarebbe certo ricascato più a muovergliene il discorso dai libri di filosofia.

Don Cosmo era distratto nell’ammirazione di quella sala, resa così d’improvviso irriconoscibile.

— Prodigio d’Atlante! — esclamava, battendo una mano su la spalla di Ninì De Vincentis. — Mi par d’essere a Colimbètra!

Subito Capolino colse la palla al balzo:

— Lei non ci va da anni e anni, a Colimbètra, eh?

Don Cosmo stette un po’ a pensare.

— Da circa dieci....

E restò sospeso, senza aggiunger altro. Ma Capolino, fissando il gancio per tirarlo a parlare:

— Da quando vi morì sua cognata, è vero?

— Già, — rispose, asciutto, il Laurentano.

E Capolino sospirò:

— Donna Teresa Montalto.... che dama! che lutto! Vera donna di stampo antico!

E, dopo una pausa, grave di simulato rimpianto, un nuovo sospiro, d’altro genere:

— Mah! Cosa bella mortal passa e non dura!

Donna Sara Alàimo, la casiera, che si trovava in quel punto a servire in tavola, per rialzarsi agli occhi degli ospiti dalla sua umile, indegna condizione, fu tentata d’interloquire, e domandò timidamente, con un mesto risolino:

— Metastasio, è vero?