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vocali di una ghiandaia, e l’eloquenza di Marco Tullio un progresso sulle facoltà del pappagallo? Lo si direbbe, a vedere come tutti abbiamo nel sangue la tendenza all’imitazione, alla contraffazione, alla parodia, e come di veri originali a questo mondo ce ne siano tanti pochi. Il pastore Dindenault manca di rispetto a Panurgio e Panurgio compra un montone dal pastore a carissimo prezzo. Sapete, e già lo disse anche Dante, che trattandosi di pecore quel che l’una fa e l’altre fanno: quindi Panurgio spinge in mare il montone comprato e il resto del gregge gli si precipita dietro; esempio memorabile di follia pecorina passato in proverbio.

Ma l’uomo ha egli poi tanti vantaggi sulle pecorelle dantesche o sul gregge del giocondo curato di Meudon? Che cosa è la moda se non una speculazione commerciale sui nostri istinti pecorili? La fama del Brummel, il re del dandismo, vive tuttora e non si spiega che ammettendo una eccitazione morbosa delle nostre facoltà imitative. E in altro modo non si possono spiegare le mode deformatrici delle crinoline, dei puff, delle parrucche gialle, dei cappelli a cilindro, delle lenti incastrate nell’occhiaia, dei colletti che segano le orecchie ed altre fantasie che sembrano sforzi inventivi dei cercatori dell’orrido, dei pittori chinesi e giapponesi che spingono la deformità fino al delirio sulle pance dei vasi di porcellana. E imitiamo anche le imperfezioni fisiche, poichè non solo le donne affettarono di zoppicare al tempo di madamigella De la Vallière, ma gli uomini zoppicarono al tempo di lord Byron. La pipa, la mia