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90 | Brani di vita |
turchino i colli che sorgono tra l’Idice e il Sillaro; i più vicini, coloriti del giallo carico delle stoppie o del verde cupo delle macchie cedue; i più lontani, azzurri o violetti, velati dalle nebbioline della sera, segnati da qualche striscia aranciata riflessa dal sole che tramonta. Il silenzio misterioso dei boschi fa più vive queste sensazioni del colore e della prospettiva aerea, queste gioconde eccitazioni dell’occhio non distratto, questi contatti calmi colla bellezza e colla natura. La voluttà della quiete si affina e si sublima. Non ha più nulla della materialità sensuale. La fantasia lavora senza sforzo e senza coscienza. Si sogna quasi ad occhi aperti.
Lassù, in alto, lontano, lontano, sulla vetta di un monte azzurro si vede distintamente una chiesa rosea che domina la solitudine della montagna. È Monte Calderaro, tra il Sillaro e la Quaderna. Come si deve star bene lassù a quest’ora, col mondo sotto gli occhi, eppure tanto lontano! Quel curato là lo invidio: vorrei essere io il curato di Monte Calderaro.
Che strano desiderio! Eppure, dopo aver faticato il giorno intero a scarabocchiare la carta, dopo aver turbato il fiele colla lettura dei giornali e scaldato il sangue colle ire politiche o colle gesuiterie letterarie, dopo essersi tormentato in una eccitazione faticosa coi nervi tesi come corde di violino che vibrano dolorosamente ad ogni moto, vengono questi desiderii della calma molle, dell’ozio del cervello, dell’animalità soddisfatta. L’abbazia di Thélème sognata dal Rabelais è anche il sogno segreto di tutti i letterati combattenti, i quali, stanchi della tensione