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di Roma Giorgio nero236 avrebbe avuto altari e voti; ai miei tremavano al solo rammentarlo, non bastava il fiato a nessuno per maledirlo: gettavano sopra la sua memoria frettolosi e trepidanti l’oblio come gli assediati rovesciano corbelli di terra sopra la bomba caduta. — E parimenti ai tempi miei un giovane russo rinnegò il padre, tuttochè fosse conte a governatore della Siberia: chiamavasi Pestel ed aveva con altri parecchi congiurato ai danni di Niccolò I; presolo, dopo un tal poco di processo lo condannarono a morte. Il padre, infame e ladro, prima che lo menino a guastarsi, vuole vederlo: entrato in carcere, a ostentazione di zelo servile lo svillaneggia e gli domanda qual fine si proponesse nella ribellione del principe legittimo; cui il figlio pacato rispose:

— Contarvi tutti i motivi menerebbe a lungo nè voi li potreste capire: bastivi questo che volevamo liberare la Russia da governatori come siete voi237.

Qui nota di traforo, che mi è mestiere di andare tra barbari in traccia di esempi di virtù civile; in Toscana civilissima per mille centi per avventura un solo si sarebbe sentito fiato d’imitare il Pestel; gli altri tutti, parmi udirli, avrebbero detto:

— Pur troppo, signor padre, conosco che ell’ha ragione da vendere: ma che vuol’ella? i compagnacci mi hanno traviato; io me ne pento proprio col cuore, ecco. Ma, dacchè