Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xx. |
carne. — Ma che cosa trovi di bello in lei, che gonfi i bargigli come tui tacchino? domanda dispettosa la droghiera al marito; e questi brevemente risponde: Quello che non ho mai trovato in te.
— Silenzio! salta su a strillare un usciere, che alle vesti e agli atti ti dimostra che le cavallette sono penetrate anche nel campo della Giustizia.
Il presidente non aveva potuto cavare una parola di bocca ad Artemisia, la quale piangeva, piangeva, piangeva.
Davvero nè più bella nella sua decadenza, nè più vereconda nella colpa deve essere stata di lei Eva quando comparve al cospetto di Dio; per confessare la verità, io non mi ci trovavo, ma me lo immagino. Il presidente allora si voltò a Gavino, giovane di forma nobilissima e d’ingegno non meno, e ne pur questi potendo reggere al groppo degli affetti che gli mossero assalto, seppe rispondere con altro che col pianto.
La è finita. Lo scrittore ha scambiato il tribunale in un mulino e i giudici in macine, che per virtù di pianto devono macinare la giustizia. Di diluvi universali ce ne fa uno nel mondo, e n’ebbe a bastanza. Povere fantasie! E poi come si fa a far piangere un uomo?
signori, faccio loro assapere come io non immagini nulla. Dante Alighieri fu levato a cielo meritamente perchè indusse Paolo a tacere e a piangere.