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vindice anch’ella della natura oltraggiata, mescolandole con la polvere le riduceva in fanghiglia; e più che tutto terribile la bocca; fregandosi ella con moto perpetuo le labbra fino a scorticarsele, queste presentavano sembianza di piaga insanguinata.

Non una parola di conforto si fece udire per la dolorosa, ma che parlo io di conforto? Non atto, non voce che non significassero maledizione per lei. Ella non la vide, nè la udì, che Dio ebbe misericordia della canna schiappata. Ora dove sono i suoi uguali, che devono giudicarla? Gli uomini! Ma l’uomo comprenderà egli la paura della figlia per le furie paterne? La ferocia della fanciulla pel suo pudore offeso? L’orrore della donzella per la derisione delle compagne e pel vilipendio universale? L’uomo non potendo tutto questo provare, ne manco può comprendere. Ebbene, giudichino le donne. Misera lei! Le donne non conoscono lacrime per la sventura della sorella caduta: non furono già le figlie, quelle che copersero le vergogne di Noè. Tuttavia non disperiamo, verrà il tempo (e lo vedrà chi lo potrà aspettare) in cui le donne-giudici, uscite fuori dal Mercante di Venezia1, col berretto in capo e la rettitudine nel cuore, la toga addosso e la sapienza dentro al cervello, giudicheranno le accusate; per ora le arrosticono gli uomini. Le tante società in-

  1. Dramma del Shakespeare.