Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
52 | parte prima — cap. viii |
§ 9. Nelle parole composte per regola generale resta soltanto l’accento dell’ultima parte. P. es. cápo, pòpolo; capopòpolo: pòrta, bandièra; portabandièra: bèlla ménte; bellaménte.
In verso qualche rara volta, per necessità del metro, si fanno sentire ambedue gli accenti. P. es.
Nemica naturálménte di pace: |
quasi le due parole stessero ancora divise l’una dall’altra.
§ 10. Vi sono alcune parole monosillabe, sole o aggruppate, che nella pronuncia si attaccano affatto colla parola antecedente o seguente, onde restano prive d’accento proprio. Si dividono in enclitiche e proclitiche. L’enclitiche (così dette dall’appoggiarsi sulla parola antecedente) sono le particelle pronominali o avverbiali mi, ti, si, vi, ne ecc., che possono affiggersi a un verbo. Le proclitiche (così dette dall’appoggiarsi sulla parola seguente) sono gli articoli il, lo, la ecc., e i pronomi e’ o gli per egli; la per ella, oltre alla prep. di. (Vedi pag. 120, 126, 196). P. es. áma-mi, mángia-lo, vedér-lo, partír-sene, godér-sela; il sóle, le stélle; e’ ride, gli è gránde, la párla; di cèrto.
§ 11. L’accento quando cade sulla vocale finale d’una parola, produce sulla consonante iniziale della parola che immediatamente le segue, un effetto, come se quella consonante si raddoppiasse. P. es. se crédi; fa bène; andò via; da lóro; può tacére; qua vénne, si pronunziano precisamente come se fosse scritto seccrédi, fabbène, andovvia ecc.
Da questa forza dell’accento nasce la geminazione della consonante iniziale nelle particelle pronominali e avverbiali o in altre parole, quando le si attaccano in fine a tali sillabe accentate. P. es. fò-mmi; di-mmi,