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prefazione xvii

sono meglio separate le maniere antiquate da quelle dell’uso vivo; si sono aggiunte nuove osservazioni; si è introdotta una terminologia più semplice e meglio adattata all’indole delle lingue moderne; e si è ragionato più sottilmente, anzi talora troppo sottilmente.

Non potè per altro la nostra lingua conseguire tutta quella certezza e regolarità di forme che si trova in alcune favelle, per esempio nella francese. La più stretta aderenza coll’idioma latino, la sua stessa antichità (perchè l’uso moderno comincia in gran parte dall’Alighieri, cioè dal secolo xiv), le varietà introdotte con pari autorità da grandi scrittori di diverse provincie, le dispute continuate intorno alla sua origine,5 ed il mancare l’Italia di un centro politico, fecero sì, che il supremo criterio di essa venisse riposto dai grammatici negli scrittori, anzichè in un parlare vivente. Donde provenne che per accettare parecchie forme non usate in Toscana, bastasse tante volte il trovarne esempii in iscrittori approvati e, quel che fu peggio, ne’ poeti, l’autorità de’ quali non dovea valere per la prosa; e provenne pure che si dessero come sinonimo due o più forme, senza stabilire nè qual meglio convenisse all’analogia, nè quale fosse conforme all’uso toscano, nè quale ristretta alla poesia.6 E questo inconveniente fu certo tra i motivi che spinsero Alessandro Manzoni a proporre il parlar