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prefazione. v

minente ruina delle idee e dei sentimenti del passato presentiva un finimondo, quanto le sue Fiabe teatrali, che furono l’espressione più ardita e più popolare di quella sua vivissima preoccupazione, rimarrebbero un mistero inesplicabile, a meno che non si volesse, come per lo più ha fatto la critica straniera, trasfigurare il Gozzi ad arbitrio, farne un personaggio ed uno scrittore diverso affatto da quel che fu in realtà, e rinnovargli, anche dopo morto, la stravaganza, di cui s’era da vivo tanto doluto, d’essere bene spesso scambiato con persone, che neppur per ombra gli somigliavano.1 Eguale stravaganza, si direbbe, è toccata anche alla sua fama letteraria, massime cogli stranieri, dai quali fu tanto esaltato, quanto fu dai suoi connazionali troppo ingiustamente depresso e dimenticato. Questa varia fortuna del Gozzi ha, come vedremo, ragioni in gran parte estrinseche e non del tutto imputabili a lui, ma in pari tempo dimostra come sia difficile dare di questo scrittore un giudizio esatto e sicuro, tant’è vero che si ondeggia tra chi lo paragonò ad Aristofane ed allo Shakespeare e chi non volle consentirgli alcun valore nè assoluto nè relativo, nè alcun altro diritto a vivere nella storia letteraria, se non la trista celebrità dell’acerbissima guerra da lui combattuta contro a Carlo Goldoni. Al quale proposito è da notare che di quanti lodarono il Gozzi non ve

  1. Memorie cit. Parte III, Cap. I pag. 187, 88.