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prefazione. cxlix

Nel 1859 lo Schnakenburg ha trattato nuovamente del Gozzi e del suo teatro, e benchè accusi d’esagerazione la critica Romantica e dimostri, al pari del Tommasèo, che Carlo Gozzi somigliava tanto poco ad Aristofane, quanto Venezia ad Atene, pure confessa che il Gozzi con arte potente adescò la plebe con la volgarità delle sue forme, la gente colta con le sapienti allegorie delle sue favole, e perciò prese posto nella famiglia secondaria dei fantastici e degli umoristi, in quella dei Rabelais, degli Aretino e degli Sterne, dove gli spiriti magni d’Aristofane e dello Shakespeare passano a volo talvolta o si soffermano appena.1 Non si ribellò veramente a questo quasi generale consenso che l’arruffato storico del Teatro, il Klein, il quale assalisce il Gozzi in nome di quel liberalismo politico borghese che, fino a pochi anni sono, si riteneva arbitro delle magnifiche sorti e progressive del genere umano, ed era intollerantissimo anche in arte. Nulla il Klein concede al Gozzi, nè come uomo, nè come poeta, sicchè confonde in un odio solo gli Schlegel feu-

    passato è un fenomeno già prossimo alla pazzia. Ed anche qui cita la scena 2a dell’atto 1° del Mostro Turchino, in cui Smeraldina e Truffaldino, i quali per una bevanda incantata smarriscono issofatto ogni memoria del loro amore, sono dal Gozzi rappresentati per pazzi.

  1. Archiv für das Neueren Sprachen und Litterature. — Herausgegeben von L. Herriq. Ueber Carlo Gozzi und sein Theater von J. F. Schnakenburg. — 1859, XIV Jahrgang 26 Bd.