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xcviii prefazione.

lore ch’ei fu perseguitato e senza che la storia se ne ricordi. Il Senato di Venezia esigliò un bel giorno le cortigiane, l’imprudente Cigolotti prese a difenderle, il popolo a ripetere i suoi versi1 ed il Cigolotti fu bandito come Omero, Camoens e Dante.... e morì in esilio.2» Or bene il Gozzi piglia su questo cencioso eroe della Piazza, e collegandolo fantasticamente all’azione della Fiaba, ne fa il Prologo del suo Re Cervo. Sfrutta così, in molti altri luoghi delle sue Fiabe, celebrità ridicole o ignobili del tempo, e usanze particolari e indicazioni di luoghi e di persone allora notissime con una libertà e a volte con una licenza singolare. Notevole è pure che il popolo nelle Fiabe del Gozzi non sia mai rappresentato più degnamente di così. La bollente fierezza dei Titta Nane del Goldoni poco gli andava a sangue. Altra macchina burlesca del Re Cervo, che il Gozzi deriva dalle novelle orientali, è la statua donata al Re da un mago, la quale ride ogni volta che una donna mentisce dinanzi ad essa. Il Re, volendo ammogliarsi, interroga prima dinanzi alla statua la donna, che gli è proposta, e già n’ha passate in rassegna duemila cento quarantotto, senza che posi mai la terribile ilarità della statua. Sopravviene alla fine Angela, la figlia di Pantalone, e la statua non ride più. Angela è una La Vallière

  1. Alcunchè di simile trovasi negli osceni versi del Baffo.
  2. Phil. Chasles, Op. cit. Études sur C. Gozzi, p. 543.