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del 1755 a Venezia. Annota ne’ suoi Diarj il Gradenigo, alla data 12 gennaio: «Resi sempre più aggiacciati gli esterni canali, il popolo e le mascare camminavano sopra il giaccio da Venezia a Marghera e dalle Fondamente nuove verso Murano». Cominciava a mancare l’acqua dolce. E alla data 24 gennaio: «Si vendeva l’acqua dolce per la città a tre bezzi al secchio da coloro che giravano con le barche... non essendo piovuto in abbondanza dal mese di ottobre in qua». — E Goldoni intanto scriveva: ascoltava sorridendo nella calle, al caffè, all’osteria, i dialoghi di Anzoletto e donna Rosega, di sior Biasio e sior Zulian; seguiva Dorotea in casa di Costanza, al ritorno dal Ridotto. Bisogna pensare ai disegni del Longhi, alle vedute del Guardi, del Canaletto; bisogna riudire i canti del volgo nei baccanali. Nell’arte letterana italiana, quasi sempre accademica e aristocratica, entra una luce nuova, un tumulto nuovo. — Altro che le farse rusticali del Cinquecento! — Qui tutto ride, ciancia, si muove, come in un raggio di sole che illumini d’improvviso un piccolo mondo oscuro. E un attimo della vita di un popolo fino allora ignorato, nell’ombra, negletto da tutti, che palpita nell’arte. E anche una prima rivendicazione sociale. Questo mondo reale e pittoresco dei gondolieri, delle lavandaie, dei paroni di tartana, delle massere, delle rigattiere, dei merciai, ricongiungesi nella nostra letteratura e si contrappone a quello fantastico cavalleresco dell’Ariosto e del Boiardo.

Il Settecento, come fu molte volte osservato, è nell’arte democratico; e Goldoni obbedisce, per la scelta dei suoi personaggi, oltre che al proprio genio, a una consuetudine del tempo. Le Marianne, le Manon, le Pamele, le Clarisse, Robinson, Figaro, trionfano nel teatro e nel romanzo del Settecento, prima che nella società. E finito il mondo eroico, mentre il popolo si appressa alla rivoluzione. Tanto meglio scendeva all’umile volgo la commedia, che per un antico precetto, consacrato nei libri e nelle scuole di rettorica, doveva attingere la materia del riso alle classi minori. Nè questa può parere una colpa.

Qui Goldoni è sovrano: nessun altro commediografo gli si avvicina. Vadè, con tutta la grazia del Settecento francese, è ben volgare accanto a lui. Goldoni non è volgare, come non è volgare un quadro di paesaggio campestre, un quadro di costumi fiammingo. Qui è la sua potenza, la sua originalità. Invano si lusinga di giudicare Goldoni, chi non può gustare queste commedie dialettali popolari: a quasi tutti gli stranieri e alla più parte degli italiani è tolto pur troppo di godere pienamente Goldoni. Onde tanti giudizi si leggono, errati o imperfetti. Sarebbe come dover parlare del Foscolo e non conoscere i Sepolcri. — La lode che il De Sanctis diede al Manzoni di aver finalmente aperto all’arte nostra la visione del reale, è lode che spetta tutta quanta a Carlo Goldoni. I personaggi della Putta onorata e della Buona moglie, dei Pettegolezzi delle donne, delle Donne gelose, delle Massere e di altre commedie che incontreremo, vivono come gli umili personaggi dei Promessi sposi. È poi strano che alcuni fra quelli che in Italia si affermano rispettosi del pensiero filosofico, ostentino un certo disdegno per la semplicità della grande arte goldoniana e manzoniana, semplicità e ingenuità di creatori non già di fantasmi e di simboli, ma di figure immortali. È assurdo negare la psicologia goldoniana. Come si possono creare dei personaggi, uomini vivi e veri, non trastulli di carta dorata, senz’arte psicologica? Conviene inoltre ammirare come il Goldoni ci trasporti lontano dal Seicento