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Avete pur detto che siete innamorato di mia sorella; avete accordato che si stabiliranno le nozze.

Florindo. Mi par di aver detto che ne parleremo.

Rosaura. Caro signor Florindo, quello che avete a fare, fatelo presto.

Florindo. Non mi tormenti, per carità.

Lelio. Ed io ho soggiunto, faremo due matrimoni in un tempo stesso. Voi darete la mano a Beatrice, quando io la darò alla signora Rosaura.

Rosaura. Signor Florindo, se volete aspettare a dar la mano alla vostra sposa, quando io la darò al signor Lelio, dubito che non lo soffrirà l’impazienza del vostro amore. Mio padre non mi può dare la dote, io sono una miserabile, e non conviene alla casa del signor Lelio un matrimonio di tal natura, nè io soffrirei il rimprovero de’ suoi congiunti. Sollecitate dunque le vostre nozze, e non pensate alle mie; che in quanto a me, vedo che la fortuna m’opprime, che gli uomini mi scherniscono, e che per rendermi sventurata, si fa gloria di meco mentire chi vanta il pregio della più illibata onestà. (parte)

SCENA XIX1.

Florindo e Lelio.

Florindo. (Questa viene a me, e mi conviene tacere). (da sè)

Lelio. Amico, avete sentito?

Florindo. Ho sentito come mi avete mantenuto ben la parola.

Lelio. Vi domando scusa; ma il dirlo alla signora Rosaura, non riporta alcun pregiudizio.

Florindo. Quando v’ho detto che taceste con tutti, non ho eccettuato nessuno. Credetemi, questa cosa mi ha disgustato.

Lelio. Deh, se mi siete amico, perdonatemi, ve ne prego.

Florindo. Orsù, siamo amici, e all’amico si dona tutto. Mi dimentico di questo piccolo dispiacere in grazia dell’amicizia.

  1. Vedi a p. 352.