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L'AUTORE

A CHI LEGGE.1


Q
UELLO ch’io dissi nel breve ragionamento mio, premesso alla Commedia XI2, che ha per titolo l’Avventuriere Onorato, può applicarsi a questa eziandio, in quanto ho io convertito in lingua Toscana la parte principale della Commedia medesima, scritta da me in Veneziano allora che la composi. L’ho fatto per le ragioni già dette, e non istarò a replicarle.

La folla degli affari che mi circondano, non mi permette diffondermi, lettor carissimo, a ragionare della Commedia che or ti presento. Posso dire soltanto, essere stata fortunatissima nell’incontro suo, e criticata soltanto perchè pareva a taluni eroica troppo e sorprendente la forza dell’amicizia nel Vero Amico. Ma, mi perdonino questi tali, pare che ad essi troppo sia la virtù forestiera, se di essa così poco conoscono i veri pregj. D’una virtù mezzana tutti gli uomini ponno esser capaci; ma quella che chiamasi virtù rara, virtù sublime, quanto più è rara al mondo, tanto più dee mettersi in mostra, per risvegliare qualche animo a seguitarla. Ho sentito io medesimo alcuni di cuor tenero assai più che discreto, compassionando l’amor di Florindo, desiderare ch’ei sposasse Rosaura, parendo loro che la sua passione, frenata dall’amicizizia, meritasse di essere ricompensata. Ciò penserebbero giustamente, se con tai nozze non venisse Florindo a pregiudicare all’amico. Ma quando questi sposata avesse Rosaura, e conseguita con essa la pingue sua eredità, il Vero Amico non potrebbe egli chiamarsi, ma Lelio avrebbe meritato un tal titolo, per il sagrifìzio che disposto era di fare; ciò detto sia per un semplice cenno. Tu, Lettore umanissimo, leggi la Commedia senza passione, e son certissimo, che se ami la virtù vera, ti piacerà in Florindo il Trionfo della vera Amicizia.

  1. Vedi a pag. 303.
  2. Intendi dell’ed. Paperini di Firenze.