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Peccato che simili scene siano rare; peccato che la commedia rimanga frammentaria e disuguale, e che porti con sè troppa materia caduca. Per questo la sua scarsa fortuna presso i posteri. Il pubblico non riesce a comprendere il Cavaliere di buon gusto: e la satira della società femminile, dove sempre il Goldoni è felice, ammira in altri componimenti. Fra le poche recite nell’Ottocento, ricorderò intorno al ’20 quelle della compagnia Andolfatti, nel ’21 della compagnia Reale Sarda, nel ’27 della compagnia Ducale di Modena (buon interprete da giovane Ferd. Meraviglia: v. Rasi). Più frequenti erano nel Settecento: per esempio a Modena nel ’59 e nel ’69. Fu tradotta questa commedia in tedesco fin dal 1761, a Vienna, e dal Saal nel 1769 (t. V), nel 1770 in portoghese, nel 1806 in spagnolo. Crudelmente la trattò il Sonnenfels, nel 1768 (Briefe über die Wienerische Schaubühne); Raff. Nocchi nel 1856 (pref. alle Comm.e scelte, Fir., Le Monnier) censurò il titolo e la falsa istruzione morale; al Rabany l’ideale di Goldoni parve «singulierement prosaique», ma notò certa novità e audacia (raccostando al Cav. la Pupilla, 1738, del Fagan e l’Uomo di 40 anni del Kotzebue: l. c, 138-140); C. Dejob ben osservò il carattere di Ottavio e descrisse la scena «fort piquante» col nipote Florindo (Les femmes dans la comédie, Paris, 1899, pp. 165-7). Moltissimi tacquero: nessuno, ch’io sappia, nominò qualche eroe del romanzo francese (Crèbillon, Duclos, Laclos, fino a Stendhal) o qualche libro di memorie.

Soltanto lo storico si compiace di udire dal palcoscenico, nel 1750, la bella lode di C. Goldoni alle prime prose del Gozzi (A. I, sc. I); e di vedere un patrizio che non isdegna di far società con un mercante, tanti anni avanti al generoso discorso del Proc. Andrea Tron (1784: tornano a mente, prima di G., gli appelli alla nobiltà depauperata del Maffei, del Becelli, del Muratori e fino dell’avv. Costantini nelle Lettere critiche, lodato perciò dalle Novelle della Rep. Lett. per l’a. 1746); e si diletta di trovarvi il biasimo agli indigesti zibaldoni letterari del tempo (A. I, sc. 6), o i cenni sulla cucina (I, 5 e II, I: ed. Bett.), o i lamenti contro le donne e contro il matrimonio (I, 7 ecc.: Costantini, Seriman, Passeroni ecc.). O volete una letterina galante che ha tutto il profumo del Settecento e pare sfuggita dall’epistolario dell’ab. Frugoni? Cercate la sc. 2 del secondo atto. Ma troppo lungo e bello sarebbe un commento a questa commedia. Lasciamo in pace il conte Ottavio, che sotto l’abito napoletano ha la prudenza e, perchè no?, la simulazione del nobiluomo delle lagune, quale i vecchi viaggiatori lo descrivono; lasciamolo a godersi il frutto del lavoro di Pantalone e a coltivare lo spirito della Marchesina, sposa recente del nipote: mentre l’ombra del passato lo ricopre.

Ci chiama a sè uno dei più potenti e benevoli protettori del nostro commediografo, S. E. Giovanni Alvise 2.° Mocenigo (n. 9 dic. 1713, m. 1787), a cui Goldoni dedicò quasi a perfetto esemplare il CAvaliere di buon gusto. Figlio del Kav. Alvise 4.° della Casa Nova a S. Samuel e di Pisana Corner, sposò ai 17 aprile 1752 Caterina Loredan, nipote del Doge Francesco, pur allora insignito dell’aureo corno: nozze cantate dal Roberti (le Fragole), dal Frugoni e anche dal buon Dottore (Spinelli, Fogli sparsi, Mil., 1885, p. 22), che fu invitato dallo sposo alla gran cena dei 19 aprile in Palazzo Ducale (v. anche lett. di dedica della I e Mém.es, III, ch. 23Memorie di Carlo Goldoni; sulle feste nuziali i diari inediti del Gradenigo). Già capitano a Vicenza e luogotenente