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Ottavio. Va via, ti dico.

Arlecchino. Un budelin all’Inglese.

Ottavio. Va via, che tu sia maladetto.

Arlecchino. Un pilato alla Francese.

Ottavio. Se non parti, ti bastono.

Arlecchino. E un zirandonarlo all’Italiana. (sottovoce)

Ottavio. Che cosa hai detto?

Arlecchino. Ho detto, bondì sioria. (parte)

Ottavio. Qualche volta le scioccherie mi divertono. L’uomo ride dei difetti altrui, non perchè i difetti meritino di esser derisi, ma perchè trovando se stesso libero da tai difetti, giubbila internamente, e manifesta la sua consolazione col riso.

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SCENA XVI1.

Florindo. Signora Marchesina, a voi m’inchino.

Rosaura. Serva sua. (sostenuto)

Florindo. Così poco mi favorite?

Rosaura. Faccio il mio dovere.

Florindo. Se mi farete degno della vostra grazia, mi vedrete brillante quanto mio zio. Impiegherò tutto il mio spirito per voi. Sì, madama, vado in questo punto a far per voi un sonetto amoroso. (via)

Rosaura. Vi vuol altro che sonetti! Vuol essere vivezza naturale, galanteria, prontezza di spirito, per innamorare le donne. Mia zia si è tirato a sè il conte Ottavio ecc.

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SCENA XVII2.

Cameriere. Favorischino; si trattenghino qui, che può tardar poco il patrone a ritornare. (via)

Dottore. Me ai ho el budell che m’ballen in tal corp.

  1. Vedi a pag. 164. Sc. IX nell’ed. Paperini.
  2. Vedi a pag. 164.