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60 | parte prima |
e che però mi lasciavano padrone della scelta della rappresentazione e delle parti.
Feci loro i miei ringraziamenti, accettai la proposizione, e col dovuto permesso di sua eccellenza e del mio cancelliere mi posi alla testa di questo nuovo passatempo. Avrei avuto molto desiderio che questo fosse stato del genere comico; e poichè le arlecchinate non mi piacevano, e dall’altro canto mancavano buone commedie, preferii ad ogni altro il genere tragico. Siccome in questo tempo si rappresentavano ovunque le Opere del Metastasio senza musica inclusive, misi le ariette in recitativi, procurai di avvicinarmi meglio che potei allo stile di quel dilettevole autore, e scelsi per le nostre rappresentazioni la Didone, ed il Siroe. Feci la distribuzione delle parti, adattandole al personale dei miei attori, dei quali avevo piena cognizione; riservai per me le ultime e, feci benissimo, essendo nel tragico compiutamente cattivo.
Per buona sorte avevo composte due piccole rappresentazioni; vi recitai due parti di carattere, e così riparai alla mia riputazione. La prima di queste era il Buon Padre, la seconda la Cantatrice, l’una e l’altra si trovò buona, e la mia maniera di recitare assai passabile per un dilettante. Vidi l’ultima di queste due composizioni a Venezia poco tempo dopo. Un giovane avvocato se n’era impadronito; la dava per sua, e ne riceveva i complimenti; ma avendo avuto l’ardire di farla stampare sotto il suo nome, ebbe il dispiacere di vedere smascherato il suo plagio. Feci tutto quel che potei per impegnare la mia bella Angelica ad accettare una parte nelle nostre tragedie, ma non fu possibile; ella era timida, e poi non l’avrebbero permesso i suoi genitori. Venne bensì a vederci, ma questo piacere le costò molte lacrime, poichè era gelosa, e soffriva molto nel vedermi in familiarità con le mie belle compagne.
La povera ragazzina mi amava teneramente e con piena fiducia; l’amava io pure con tutta l’anima, e posso dire che questa sia la prima persona che veramente abbia amata. Ella aspirava a divenir mia moglie, e tale sarebbe realmente divenuta, se alcune particolari e ben fondate riflessioni non mi avessero distolto. La di lei sorella maggiore era stata una rara bellezza, e divenne brutta dopo i primi parti. La minore aveva la medesima carnagione, i medesimi lineamenti, ed era una di quelle delicate bellezze, che l’aria istessa fa appassire, e che il minimo incomodo scompone: io n’ebbi un’evidente prova. La fatica del viaggio fatto insieme l’aveva enormemente cangiata. Ero giovine; e se mia moglie dopo qualche tempo avesse perduta la sua freschezza, prevedevo qual sarebbe stata la mia disperazione. È vero, che questo era troppo ragionare per un amante; ma o fosse virtù, o debolezza, o incostanza, lasciai Feltre senza sposarla.
CAPITOLO XXI.
- Riflessioni morali. — Mutazione di stabilimento di mio padre. — Mio imbarco per Ferrara. — Cattivo incontro. — Mio arrivo a Bagnacavallo. — Viaggio a Faenza. — Morte del mio genitore.
Il distacco, da quell’amabile oggetto, che mi aveva fatto gustare le prime delizie di un amore virtuoso, mi costò pena. Bisogna per altro dire, che tale amore non fosse di tempra molto vigorosa, poichè io abbandonai la mia bella. Un poco più di spirito, un poco più