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capitolo vii 163


contessa protettrice di Rosaura, nè ci correva gran tempo, onde tutti quanti avean gli ocelli rivolti verso il palchetto di lei: per mia buona sorte però questa dama aveva tanta perspicacia da non dar retta alla malignità dei derisori; infatti applaudiva ella stessa a tutti i passi che le potevan essere affibbiati. Mi avvenne dopo l’istessa cosa a Firenze, e a Verona, e si credè in ciascheduna di codeste due città che avessi preso in esse il mio soggetto. Ecco una nuova evidente prova, che la natura è l’istessa per tutto, e che attingendo alla feconda sorgente di essa, i caratteri non possono mai fallire. A Venezia questa commedia incontrò meno che negli altri luoghi e doveva appunto esser così.

Le mogli dei patrizi non si trovano mai e poi mai nel caso che venga loro disputata la preminenza, nè hanno idea delle frascherie dei luoghi di provincia. Questa commedia essendo ricavata dalla classe dei nobili, la seguente fu presa da quella della cittadinanza, ed era La Bottega del Caffè. Il luogo della scena, che è fisso, merita qualche attenzione; il medesimo consiste in un quadrivio della città di Venezia. Vi sono di faccia tre botteghe. Quella di mezzo è un caffè, l’altra a destra è allogata ad un parrucchiere, e l’ultima a sinistra ad un uomo che tien giuoco. Vi è poi da una parte una casetta, che rimane fra due strade, abitata da una ballerina, e dall’altra una locanda. Ecco una unità di luogo esattissima; questa volta i rigoristi saranno contentissimi di me, ma saranno poi eglino contenti dell’unità dell’azione? Non troveranno forse che il soggetto di una tale commedia è complicato, divisa l’attenzione? Alle persone che terranno simili discorsi ho l’onore di rispondere, che nel titolo di questa commedia non presento un’istoria, una passione, un carattere; ma una bottega di caffè, ove seguono in una volta varie azioni, e dove concorrono parecchi per diversi interessi, onde se ho avuto la fortuna di stabilire una connessione essenziale fra questi oggetti differenti, rendendo gli uni agli altri necessari, credo certamente di avere appieno adempito al mio dovere, superando appunto per tal ragione maggiori difficoltà. Per ben giudicarne, bisognerebbe dare un’intiera lettura alla commedia, poichè vi sono in essa tanti caratteri, quanti personaggi. Quelli che figurano di più, sono due coniugati; il marito è sregolato, e la moglie all’opposto sofferente e virtuosa. Il padrone della bottega del caffè, uomo di garbo, serviziato ed officioso, si prende a petto questo sfortunato matrimonio, e arriva a corregger l’uno, rendendo l’altra felice e contenta. Vi è poi un maldicente ciarlone, soggetto veramente comico ed originale, ed uno di quei flagelli dell’umanità, che inquieta tutti, reca noia alle conversazioni del caffè, luogo della scena, e molesta più d’ogni altro i due amici del caffettiere. Ecco come il malvagio è punito; egli scuopre per buffoneria i raggiri di un biscazziere birbante addetto al caffè, onde costui è subito arrestato, ed il ciarlone vilipeso, è posto fuori come delatore. Questa commedia ebbe un successo fortunatissimo; infatti l’insieme ed il contrasto dei caratteri non potevano fare che non incontrassero; quello del maldicente poi era inoltre affibbiato a parecchie persone già cognite. Una di queste se la prese meco orribilmente, e mi minacciò. Si discorreva di spade, di coltelli, di pistole; ma ansiosi forse di veder sedici commedie nuove in un anno mi dettero tempo d’ultimarle.