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114 parte prima


tore principale. Tutto il resto era a braccia; benchè gli attori fossero ben combinati non erano però tutti in istato di adempiere la loro parte con abilità. Non vi si poteva pertanto scorgere quella uguaglianza di stile che qualifica gli autori. Era per me impossibile riformar tutto in una volta senza irritare gli amatori della commedia nazionale: aspettavo adunque il momento favorevole per assalirli di fronte con più vigore e sicurezza.

CAPITOLO XLI.

Gustavo Vasa, opera. — Breve disgressione sopra Metastasio, e Apostolo Zeno. — Colloquio con quest’ultimo sulla mia composizione. — Il Prodigo, commedia in tre atti, parte scritta e parte a braccia. — Lagnanze degli attori a maschera. — Le trentadue disgrazie di Arlecchino, commedia a braccia. — Alcune parole sopra l’Arlecchino Sacelli. — La notte critica, commedia a braccia.

I miei comici dovevano andare nella primavera e nell’estate a far le loro recite in terraferma; avrebbero perciò desiderato, che io li avessi seguitati, ma io diceva loro coll’evangelo alla mano: uxorem duxi, sono ammogliato. Mi confermò anche nell’idea di restare a Venezia un’altra ragione. Il proprietario di quel medesimo teatro ove si davano le mie commedie nell’autunno e nell’inverno, mi aveva incaricato di un dramma in musica per la fiera dell’Ascensione dell’istess’anno. Ultimata quest’opera nella quaresima, avevo caro di presedere io stesso all’esecuzione. Doveva metterla in musica il celebre Galuppi denominato Buranello, e ne pareva contento; ma avanti di rilasciargliela, rammentandomi quanto mi ero ingannato nell’Amalasunta, nè sapendo se con precisione avessi adempito a tutte le stravaganze che si chiamano regole del dramma in musica, volevo, prima di esporla al pubblico, sottoporla all’occhio e al giudizio di qualcuno, e scelsi per mio giudice e consigliere Apostolo Zeno, tornato da Vienna, dove eragli succeduto l’abate Metastasio. A questi due illustri autori deve l’Italia la riforma dell’Opera. Prima di loro, altro non si vedea negli spettacoli musicali, che divinità, diavoli, macchine, maraviglie. Lo Zeno credette il primo, che la tragedia potesse rappresentarsi benissimo in versi lirici senza avvilirla, e si potesse anche cantare senza infievolir punto la sua energia. Dette esecuzione a tale idea nel modo più soddisfacente per il pubblico e più glorioso per sè medesimo e per la sua nazione. Si scorgono nelle sue opere gli eroi come realmente erano, o almeno quali gl’istorici ce li rappresentano: i caratteri sono ben sostenuti con vigore, ben condotto il disegno, e gli episodi sempre legati alla unità dell’azione; maschio e robusto ne è lo stile, e le parole dell’arie adattate felicemente alla musica del suo tempo. Il Metastasio, suo successore, portò la tragedia lirica al colmo della perfezione, di cui era capace il suo puro ed elegante stile, i suoi fluidi ed armoniosi versi, una chiarezza ammirabile nei sentimenti, un’apparente facilità, che nasconde il penoso lavoro della precisione; una commovente energia nel linguaggio delle passioni, i ritratti, i quadri, le ridenti descrizioni, la dolce morale, la filosofia insinuante, l’analisi del cuore umano, le sue cognizioni sparse senza profusione, ed usate con arte, le sue arie, o per meglio dire, i suoi madrigali incomparabili, ora sul gusto di Pindaro, ed ora su quello di Ana-