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satire | 75 |
Più facil quindi e spiccio è il dir: «Non canta
«La Tragedia fra noi: chi ariette scrive,
«Dai suoi Catoni i Catoncini ei schianta».
Suore forse non son le Nove Dive?
Fia che a sdegno Melpòmene mai prenda
Voci aver da Tersícore più vive?
La Tragedia, gnor sì, canta; e l’intenda
Com’ella il vuole: il Metastasio è norma,
Che i Greci imita, e i Greci a un tempo ammenda.
Tutta sua la Tragedia, in blanda forma
Gli alti sensi feroci appiana e spiega,
Sì che l’alma li beve e par che dorma.
Ignoranza ed Orgoglio, usata lega,
Fan che una nuova Merope ci nasce
Di padre che non scerne Alfa da Oméga.
Ma che parl’io di Greco a quei che in fasce
Stan del Latino ancor nel lustro nono,
Sì che spesso han dall’umil Fedro ambasce?
Ora, a bomba tornando; i’ gliene dono
A chi l’ha fatta, questa Meropuccia
Che usurpar vuolsi terzo-nata il trono.
Semplice no, ma gretta, in su la gruccia,
Ch’ella noma Coturno, si trascina,
Senza aver pure in capo una fettuccia:
E la si spaccia poi Madre-Regina
Col monopolio dell’esclusïone,
Come s’altri fatt’abbiala pedina.
Quel mio buon venerabile barbone,
Ch’era il Nestor di Omèro mero mero,
Cangiato io ’l veggo in vecchio non ciarlone:
E quel naturalissimo sincero
Crudelotto Tiranno Polifonte
Mi si è scambiato in Re Machiavelliero.
E il mi’ Adrasto, e il su’ anello, e le sì pronte
Fide risposte dell’astuta Ismene;
E l’arte in somma qual c’insegna il fonte;
(Dico, la dotta Tragizzante Atene)
Dove son elle in questo nuovo impasto?
Sognando il meglio, e’ si sfigura il bene.
Ombra vuolsi, ombra molta: indi è il contrasto.
Personaggio che basso e inutil pare,
Agli altri accresce, e senza stento, il fasto. —
Ombra sia, Don Buratto; ombra Lunare,
S’anco a lei piace: ecco, abrenunzio seco
Ogni luce che sia troppo Solare.