16 settembre 1792 in Ath.
X. Ἤ ζηλωτὸν εἶναι δεῖ τὸ λεγόμενον, ἤ τερπνόν. ὀ δὲ τῆς ἐκτὸς τούτων συμφορᾶς πλεονασμὸς, μετά τινος ὀχλήσεως ἐπιτελεῖται, μάλιστα τῷ τῆς ἱστορίας γένει. |
O imitabili esser debbono le cose narrate, o dilettevoli; ma l’affastellare accidenti privi di questi due pregi, genera, principalmente nella storia, fastidio. |
La Storia no (che Storia unqua non ebbe,
Nè l’avrà, nè la merta, un popol pravo,
Noto or ben due mill’anni, e ognora schiavo
Tal, che neppur la Servitù gl’increbbe)
La Storia no, ma il Gazzettier s’avrebbe
Dura impresa in narrar, come l’ignavo
Gallico gregge, in maschera di Bravo,
Sottratto ai Re, la tirannia s’accrebbe.
Compra servile immanità, diretta
Da balbettanti rei Filosofisti,
Stromento fassi a ribellante setta.
Senno, ingegno, virtù, nè mai pur visti
V’erano: iniqua Dea, l’atra Vendetta
Fabbricossi ella, e disfarà, quei tristi.
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17 settembre 1792 in Ath.
Di sè parlando (che altro mai non fanno)
Osano i Galli dir: Nazïon grande.
Ove di ciò il perchè tu lor domande,
Che alleghin fatti aspetteresti l’anno.
Numerosa, dir debbono; e si spande,
Pur troppo inver di Libertade a danno,
Della genía lor garrula il malanno,
Che in bei detti avviluppa opre nefande.
Grande fu Roma; Atene grande, e Sparta;
Perchè amplissime egregie eccelse cose
Fer, con cuor grande, e supellettil’arta:
Ma cotestor, che di arroganzia han dose
Grave pur tanto, e si fan grandi in carta,
Turbe son di Pigmei fastidïose.
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