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Cayley, che questo non potremmo affermare se non avessimo il concetto della retta, trovano la loro piena giustificazione nella distinzione che si deve fare dello spazio fisico e intuitivo da quello geometrico, e in questa distinzione esse conciliano la loro apparente contraddizione.

Non si può ricondurre tutta la geometria al puro empirismo, riguardando cioè quali oggetti di essa i corpi dello spazio fisico con le loro imperfezioni, se deve essere una scienza deduttiva, e se in essa la legge di astrazione e quella dell’illimitato, che sono necessità, della nostra mente, non hanno il loro pieno svolgimento8.

Oltre agli assiomi tratti direttamente dall’osservazione, altri ve ne sono, anche per le applicazioni stesse della geometria nello spazio fisico, e sono detti più opportunamente postulati od ipotesi. L’esattezza di queste ipotesi, che non è accertata dall’osservazione, è sottoposta alle stesse condizioni alle quali sono assoggettate le ipotesi della matematica pura. Tali sono le ipotesi delle parallele e della divisibilità in parti di ogni tratto rettilineo, alla quale appunto ci conduce la legge dell’illimitato, sebbene praticamente questa operazione ci conduca sempre ad una parte indivisibile; l’ipotesi del continuo, di questo enigma degli antichi filosofi, che il matematico è riuscito, per quanto gli basta, a definire; le ipotesi dell’infinito e dell’infinitesimo attuali, che terminarono antiche discussioni e servirono a costruire la geometria non-archimedea9; e per ultimo quella degli spazi a più di tre dimensioni.

Essendo però la geometria una scienza d’origine sperimentale, è pur necessario che il geometra giudichi quali delle sue ipotesi ideali possano avere una rappresen-