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«grandi maestri del ben giudicare»; soggiugnendo che «se i fiorentini avessero, quando era tempo, dato loro ascolto, non avrebbero pianto cosi presto la perdita della loro repubblica, posciaché l’uno vi avrebbe ordinato un reggimento a popolo senza licenza e non di ciompi, l’altro un reggimento di magnati con poca libertá» ( J ). Dante e il Machiavelli furono i due lumi principali della scuola fiorentina, che mori colla repubblica, e per via di Donato Giannotti si congiunge colla scuola veneta, illustrata dal Paruta e piú ancora dal Sarpi; se non che Venezia, campata sull’orlo d’ Italia e appartata fra le lagune, ebbe un senso men vivo che Firenze della nazionalitá italica. A ogni modo l’ultimo

(1) Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini, prefazione. All’accusa d’immoralitá, con cui il Botta ivi conviene i due illustri storici fiorentini, ho giá risposto altrove per ciò che riguarda il Machiavelli ( Gesuita moderno, t. Il, pp. 601, 602, nota). Quanto al Guicciardini, veggasi come discorre su Ferdinando di Napoli (Storia d’Italia, Parigi, 1832, t. 1, p. 128), sull’avarizia e le estorsioni dei principi (ibid., p. 158), sulla morte di Giovan Galeazzo (ibid., p. 176), sull’uso dei veleni (ibid., p. 177), su Alessandro sesto e il Valentino (ibid., pp. 77, 78, 206, 208, 255, 467, 468; t. 11, pp. 154, 168, 169, 174, 193, 203, 206, 209, 218, 219, 269, 270, 293), sulla consuetudine ottomana di uccidere i fratelli del principe (ibid., t. 1, p. 209), sulla slealtá di Gianiacopo Triulzi (ibid., pp. 217, 218), sul debito del buon principe (ibid., pp. 219, 220), sulla viltá di Giovanni Pontano (ibid., pp. 270, 271), sulla perfidia di Bernardo da Corte e di Filippino del Fiesco (ibid., t. il, pp. 89, 90), sull’ambizione e corruttela dei pontefici (ibid., pp. 112, 116, 117), sul tradimento di Corrado Laudo e la viltá dei veneziani (ibid., pp. 131, 132), sui vizi di Ludovico il moro (ibid., p. 134), sulla crudeltá di Giovanni Bentivoglio (ibid., pp. 157, 158), sulla pietá filiale del giovane Mompensieri (ibid., pp. 170, 171), sullo spergiuro e tradimento di Gonsalvo (ibid., pp, 172), sulla slealtá di Ludovico duodecimo re di Francia (ibid., pp. 173, 267; t. 111, pp. 69, 70), su quella di Giampagolo Baglione (ibid., t. 11, p. 281), sulla viltá dei tempi moderni paragonati agli antichi (ibid., p. 338), sulla perfidia di Spagna e Francia verso i pisani (ibid., t. in, pp. 19, 20), sulla pusillanimitá di Venezia dopo la battaglia di Ghiaradadda (ibid., pp. 47, 48, 49), sulla proscrizione fatta dagli antichi triumviri di Roma (ibid., p. 236), sui vizi del Cardinal di Pavia (ibid., p. 267), sulle guerre ambiziose dei pontefici (ibid., t. iv, p. 48), sulle pompe profane di Leone (ibid., p. 51), sulla congiura di Alfonso Petrucci (ibid., p. 290), sui cardinali in genere (ibid., t. v, p. 6), sopra Ugo di Moncada (ibid., p. 121), sulla mislealtá di Girolamo Morone e del marchese di Pescara (ibid., pp. 229, 245, 248, 249), sulla perfidia e immanitá spagnuole (ibid., pp. 359-369), che altrove paragona alla generosa e mansueta lealtá degli antichi (ibid., t. IV, p. 146), ecc. Questi e simili giudizi dimostrano che le scritture del Guicciardini non altrimenti che quelle del Machiavelli, senza avere la perfezione e la squisitezza morale che risplendono negli storici antichi, non meritano l’acerba censura del Botta, ripetuta alla cieca da molti scrittori di oltreinonte.