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e dominare le cose se non pigliasse animo sopra di loro, reputandole inferiori a sé, giusta la bella frase del Cellini?1. Il quale pieno di tal baldanza gridava:

Che molti io passo, e chi mi passa arrivo2.

Né tal baldanza è presunzione o superbia, purché al legittimo principio si riferisca. La vera qfliillá è la subordinazione dell’arbitrio umano all’atto creativo; e siccome l’ingegno è un rivolo di questa fonte infinita, chi lo sconosce e trascura fa torto al suo principio. L’umiltá cristiana non è quella dei falsi mistici ed ascetici, che è contraria alla veritá, inducendo l’uomo a negare un pregio di cui ha coscienza; contraria al buon vivere civile e ai progressi della cultura, perché, rimovendo la maggioranza naturale dal maneggio delle cose, le dá in preda ai tristi e ai dappochi; contraria in fine al volere di Dio stesso, poiché, escludendo la principale delle forze concreatrici, si attraversa all’esecuzione dei disegni divini negli ordini dell’universo3. Havvi un’armonia naturale e prestabilita fra l’ingegno e questi ordini, come vi ha un accordo tra il creare divino e il concreare umano; e però l’uomo che si affida al suo valore crede a Dio e alla natura, crede all’armonia preordinata di cui ha coscienza, ed è persuaso che donde gli viene il concetto e il desiderio di far cose grandi, gli verrá pure la forza di compierle. E che cos’è «quell’impulso naturale», che l’Alfieri avverti e descrisse4, se non una vocazione e missione spontanea, che sovrasta alla natura, poiché la domina; onde l’ingegno che lo riceve è auguratore e taumaturgo? Guidato da questo impulso, egli sa di non essere creato a caso, ma, quasi messo e strumento della providenza, doverne ubbidire gli ordini ed effettuare i consigli. «Cominciai a pensare — dice il Cellini — qual cosa delle due io doveva fare, o andarmi con Dio e lasciare la



  1. Opere, Firenze, 1843, p. 526.
  2. Ibid., p. 24.
  3. Consulta Gesuita moderno, cap. 16.
  4. Del principe e delle lettere, iii, 6.