Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/185


libro secondo - capitolo nono 179


«potendosi andare in cielo o in precipizio»1. Ma ciò non lo sbigottisce, essendo, come Agricola, «pronto allo sperare e tetragono alle sventure» 2, anzi alla morte, il cui disprezzo è il suggello della grandezza 3. «Alcuno domandò ad Agide re di Sparta: come possa l’uomo dimorar franco e libero in tutta sua vita? A cui rispose: — Dipregiando la morte»4. — «Chi è preparato a morire è padrone del mondo dice il Leopardi5; e Santorre di Santarosa, prima di partir per la Grecia nel 1824, scriveva che «quando si ha un animo forte, conviene operare, scrivere o morire»6. Laddove il soverchio amor della vita non cade per ordinario che negli animi gretti e mediocri, ed è nemico mortale delle nobili operazioni7.

Non è però che la notizia sagace e profonda delle probabilitá esteriori e la coscienza delle proprie forze non facciano prevalere la speranza al suo contrario. Questo sentimento viene avvalorato in particolare dalla pazienza, dalla costanza, dalla longanimitá, che sono altre doti solite a trovarsi negli uomini non volgari8; e sovratutto da quella attivitá straordinaria che



  1. Tac., Hist., ii, 74.
  2. Tac., Agr., 35.
  3. «Dove la necessitá strigne è l’audacia giudicata prudenza, e del pericolo nelle cose grandi gli uomini animosi non tennero mai conto. Perché sempre quelle imprese, che con pericolo si cominciano, si finiscono con premio, e di un pericolo mai non si usci senza pericolo» (Machiavelli, Stor., 3).
  4. Plutarch., Apopht. lacaed.
  5. Opere, t. ii, p. 164.
  6. Revue des deux mondes, t. xxi, p. 680.
  7. «Consenuit multum immunita claritate ob nimiam vivendi cupidinem» (Tac., Ann., ii, 63). «Nisi impunitatis cupido retinuisset magnis semper conatibus adversa» ibid., xv, 50). «Spe vitae, quae plerumque magnos animos infringit» (Id., Hist., v, 26).
  8. Queste doti sono tanto piú degne di pregio, quanto meno vengono avvertite e lodate per la condizione di coloro che le posseggono. Tali sono quegli arditi peregrinatori, che con fatiche incredibili fra patimenti e pericoli di ogni sorta, penetrano per mare e per terra in regioni inospite ed incognite per acquistare nuovi tesori alla scienza: onde Giovanni Burckhardt fu alla nostra memoria il modello. Toccai altrove di chi recava in Europa il primo testo dei libri zendici: ma non meno ammirabile è Alessandro Csoma di Coros, che fu l’Anquetil del nostro secolo. Nato in Transilvania e nudrito in Gottinga di forti studi, egli parte nel 1822 tutto solo, a piedi, senza un danaro, e mendicando per Costantinopoli, il Cairo, Bagdad, la Persia.