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non solamente la nostra eloquenza ma la nostra filosofia, e in tutto e per tutto il di fuori quanto il di dentro della nostra prosa, bisogna crearlo» (0. Cosi lo stile dipende dal soggetto e la buccia dal ripieno; anzi la forma e la materia, compenetrandosi, si aiutano scambievolmente; e come i chiari e buoni pensieri rendono perspicua e sana la parola, cosi «la facoltá della parola aiuta incredibilmente la facoltá del pensiero e le spiana ed accorcia la strada» ( (i) 2 3 4 5 h Perciò la favella degli antichi ci riconduce alla loro sapienza; e non a torto per ambe le parti si diede il nome di «umanitá» alle lettere classiche, atteso che queste non solo perfezionano l’ingegno umano, come spiega il Salvini (3), ma porgono la cognizione e idoleggiano l’idea dell’uomo antico, che è l’uomo per eccellenza. Lo stile dei greci e dei latini ne è lo specchio vivo, rendendo immagine di quella virilitá graziosa che brilla nell’ingegnoe nell’animo, nelle azioni e nelle dottrine, non meno che nelle fattezze naturali e nelle opere plastiche degli antichi. E però Io scrittore, che ai nostri giorni piú li conobbe e meglio s’ intrinsecò nella loro natura, afferma che «gli antichi furono incomparabilmente piú virili di noi anche ne’ sistemi di morale e di metafisica» ( 4 ); e che quindi «gli scritti loro non solo di altre materie, ma di filosofia, di morale e di cosi fatti generi, potrebbero giovare ai costumi, alle opinioni, alla civiltá dei popoli piú assai che non si crede e, in parte e per alcuni rispetti, piú che i libri moderni» (5). Il che suggelli le altre ragioni allegate per invogliar gl’italiani allo studio ed al culto dell’antichitá classica.

Dico «il culto e lo studio», ché altrimenti la lettura non serve se non a procurare un breve e sterile diletto. Ora il vero si è che non solo oggi è perduto in Italia il vero modo di scrivere, ma eziandio quello di leggere. E perciocché mancano buoni lettori, però difettano i buoni scrittori; quando le due

(i) Leopardi, Epistolario , t. i, p. 108.

(a) Ibid., p. 2io.

(3) Disc., i, 186.

(4) Leopardi, Opere, t. n, p. 89.

(5) Ibid., p. 346.