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fiore della favella. E però il restitutore piú insigne di questa riconobbe il primato toscano e volle vivere e morire in Firenze, «per avvezzarsi a parlare, udire, pensare e sognare in toscano» (0, facendo ritratto specialmente dal minuto popolo; e alla nostra memoria Giuseppe Giusti e Niccolò Tommaseo ne presero, l’uno nei versi, l’altro nella prosa, quel nuovo stile, pieno di brio, di acume e di grazia, che riluce nei loro scritti.

Il principio è negli ordini del tempo ciò che è il centro in quelli dello spazio, sovrattutto quando al merito del cominciamento aggiunge il pregio del colmo e della eccellenza, come accade a quei secoli privilegiati che si chiamano «aurei» nelle lingue, nelle lettere, nelle arti belle. Ora nel modo che la Toscana e in ispecie Firenze è il capo del bel parlare, cosi il Trecento, che primo ne sparse e nobilitò l’uso quanto allo scrivere, fu altresí per esso l’etá dell’oro, recandolo a perfezione nei tre luminari piú antichi della nostra favella; cosicché per un raro privilegio la puerizia di questa fu coetanea alla sua maturezza. Anche per questa parte l’Alfieri diede il precetto e l’esempio, scrivendo che «il nostro secolo veramente balbetta ed anche in lingua assai dubbia, il Secento delirava, il Cinquecento chiacchierava, il Quattrocento sgrammaticava ed il Trecento diceva» < 1 2 3 ). E altrove osserva che «chi avesse ben letti quanto ai lor modi i nostri prosatori del Trecento, e fosse venuto a capo di prevalersi con giudizio e destrezza dell’oro dei loro abiti, scartando i cenci delle loro idee, quegli potrebbe forse poi ne’ suoi scritti, si filosofici che poetici o istorici o d’altro qualunque genere, dare una ricchezza, brevitá, proprietá e forza di colorito allo stile, di cui non ho visto finora nessuno scrittore italiano veramente andar corredato» (3). Il Trecento è l’etá in cui i nostri scrittori si accostarono maggiormente alla perfetta bellezza, perché di semplicitá, di naturalezza e di elegante candore. Niuno dei seguenti, non che vincerli, potè agguagliarli. Non però si vuole

(1) Alfieri, Vita, IV, 2.

(2) Lettera a Ranieri dei Calsabigi.

(3) l’ila, iv, 1.