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libro secondo - capitolo ottavo 113


propria lingua e delle lettere patrie, e che chi ama i barbarismi nel discorso non li fugge nella politica. Gli antichi tenevano il parlare barbaro per cosa servile, e Cicerone considera il favellar puramente come un uso richiesto alla dignitá romana e prescritto al buon cittadino1.La storia attesta a ogni tratto come la nazionalitá e la lingua nostra sieno cose parallele, unite e indissolubili, e come abbiano comune l’origine, il progresso, la fine. Esse nacquero ad un parto per opera dell’uomo, che scrisse colla stessa penna la legislazione della monarchia italica e quella del volgare eloquio, e che col divino poema mise in cielo il suo vernacolo, traendolo dall’umile qualitá di dialetto e sollevandolo al grado d’idioma nazionale. Dante fu egualmente il padre della letteratura e della scuola politica italiana; e siccome la favella nobile e la patria non sussistono attualmente se non in quanto l’uso dell’ una e la coscienza dell’altra divengono universali, si può dire per questo rispetto che l’Alighieri creasse la nazione e la lingua. Di questa egli era si tenero che recava «a perpetuale infamia il commendare lo volgare altrui e dispregiare il proprio», chiamando «malvagi» coloro che il facevano e «abbominevoli reitadi» le cagioni che a ciò gl’ inducevano2. Né perciò riprendeva lo studio degli altri idiomi, che l’angusto e gretto amor patrio di certuni troppo era contrario al suo genio cosmopolitico. «Sanza dubbio non è sanza lode d’ingegno apprendere bene la lingua strana, ma biasimevole è commendare quella oltre la veritá per farsi glorioso di tale acquisto»3. Costoro egli riputava cattivi italiani, indegni di parlare la piú nobile delle loquele. «Molti dispregiano lo proprio volgare e l’altrui pregiano; e tutti questi cotali sono gli abbominevoli cattivi d’Italia, che hanno a vile questo prezioso volgare; lo quale, se è vile in alcuna cosa, non è se non in quanto egli suona nella bocca meretrice di questi adulteri»4. Anzi tale era il suo culto verso




V. Gioberti, Del rinnovamento civile dell'Italia - iii.

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  1. De orat., iii, i4; Brut., 37, 75.
  2. Conv., i, ii.
  3. Ibid.
  4. Ibid.