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libro secondo - capitolo ottavo 99


ordinata e distesa, dovendo essi procedere alla spicciolata e a frastagli, secondo l’angusta misura del foglio e i casi che occorrono di giorno in giorno; onde loro non è dato né di tener conto della logica connessione delle materie, né di abbracciare tutto quanto il loro argomento, né di rappresentare le attinenze che legano insieme i diversi veri, né di condurre innanzi ed accrescere con idee nuove il capitale della scienza, la quale, se non va innanzi, sosta e dietreggia. L’entratura o vogliam dire la creazione intellettiva si disdice ai fogli giornalieri come agl’ingegni volgari; e siccome ella nasce dall’ instruzione superiore, cosí non può avere altro campo proporzionato che i libri. Gli antichi romani (che tanto sovrastavano ai popoli moderni nel buono giudizio), benché avessero i loro diari, non gli adoperavano nei temi piú importanti, onde uno di loro disse che «per dignitá del popolo di Roma si usava scrivere negli annali le cose illustri e le umili nei giornali»1. E il Leopardi, che morde frequentemente l’abuso dei fogli volanti, alludendo al divario che corre per tal rispetto fra il costume degli antichi e il nostro, osserva che per desiderio di lode «i moderni domandano articoli di gazzette e quelli domandavano libri»2, atteso che se non ci vincevano nel desiderio di fama, ci superavano almeno di accorgimento nel procacciarla.

Ai difetti inevitabili della forma si aggiungono quelli di chi l’adopera, malagevoli a cansare. La letteratura dei giornali suol fare, rispetto agli scrittori, presso a poco lo stesso effetto che la divisione soverchia del lavoro riguardo agli artieri; rintuzzando l’ingegno, troncandone i nervi, rompendone l’elaterio, diseccandone la vena, smorzandone la fiamma, disusandolo dalla profonditá, avvezzandolo a sfiorare gli oggetti anzi che a sviscerarli, e rendendolo insomma fiacco, avvizzato, triviale, meccanico, servile, inetto a creare. Tal è il risultato di ogni opera a spizzico, quando la partizione è troppo minuta e precisa; giacché l’uomo, essendo moltiforme, ha bisogno di varietá, di



  1. Tac., Ann., xiii, 3i.
  2. Opere, t. ii, p. i58.