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libro secondo - capitolo secondo | 237 |
principi rimbambiti erano in voce d’ infamia1; e Dante sciamava ne’ suoi: «Oh miseri che al presente reggete! e oh miserissimi che retti siete ! Ché nulla filosofica autoritá si congiugne colli vostri reggimenti né per proprio studio né per consiglio; sicché a tutti si può dire quella parola dell’Ecclesiaste: ’Guai a te, terra, lo cui re è fanciullo’»2. L’inettitudine partorisce il disprezzo, che è peggio dell’odio, secondo il Machiavelli3. «Quello che dal padre o da alcuno suo maggiore valente è disceso ed è malvagio, non solamente è vile ma vilissimo e degno di ogni dispetto e vituperio piú che altro villano»4. Un principe avvilito e contennendo non può reggersi se non comanda a popoli che lo somiglino; e se egli la scampa, i successori pagano il fio della sua dappocaggine. Cosí Carlo primo d’Inghilterra fu deposto, si può dire, dal primo Giacomo; e in Francia Ludovico decimosesto perdé la corona dall’avolo vituperata.
Una casta degenere, sopravvissuta alla ruina delle altre, sparsa per tutta Europa e signoreggiarne i popoli piú ingentiliti, piú vaghi di ugualitá, cresciuti di forza e capaci di governarsi da se medesimi, può parere a molti una dissonanza anzi un’onta e un obbrobrio. Ma il male è ancora accresciuto dalla corruttela, giacché le abitudini sono tenaci nelle famiglie come negl’individui. Perciò è quasi un miracolo se un legnaggio avvezzo da anni e secoli a signoria dispotica ed eccessiva si acconci di buon grado ai governi civili, e se chi ebbe lungamente i popoli per ischiavi e pecore destinate a’ suoi usi e sollazzi consenta a riguardarli e trattarli come nazioni libere, compartecipi della sua potenza. Gli ordini rappresentativi mutano in gran parte l’essenza del regno, perché, laddove il principe assoluto è arbitro e signore, il principe costituzionale non è altro che un primo magistrato e ministro della nazione. Anzi ne è il servo, secondo i dettati dell’evangelio, che si riscontrano mirabilmente con quelli della