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capitolo decimoquarto 143


capaci in politica né di forti contro le fazioni. Tradiva e rovinava l’Italia, perché dalla presa deliberazione nacque la rotta di Novara, la pace di Milano, la resa di Venezia, il servaggio risorto nella penisola. Tradiva e disonorava il principato, allegandolo a Giuseppe Mazzini anzi che ai democratici, come quelli che

erano allora zimbello e ludibrio dei puritani1. Tradiva in fine e precipitava se stesso, perché Novara ed Oporto furono il



  1. «Charles- Albert, non moins alarmé du progrès de la démocratie, chercha le salut de sa dynastie dans la reprise des hostilitès; d’oú les dèsastres de Novare» (Comitè dèmocratique français-espagnol-italien, Le national, 27 août i85i). Ciò è presso a poco come se si dicesse che Pompeo perdette a Farsaglia perché cercò la sua salute nella democrazia di Roma. Carlo Alberto era cosi poco «sbigottito dei progressi della democrazia», che rimosse da sé il solo ministro che accoppiasse ai principi democratici quelli di una politica conservatrice; e si gittò in braccio a coloro che non solo erano democratici ma aggirati dai puritani, e che furono l’unica causa che la guerra si ripigliasse e si perdesse a Novara. Queste cose si sanno in Piemonte da tutti, si conoscono nell’altra Italia e nel resto di Europa, e si dovrebbero sapere eziandio in Francia. Nello stesso scritto, distinti i repubblicani dai costituzionali, si aggiunge che gli ultimi «plus nombreux , plus puíssants, purent sans opposition appliquer leur système. Dans le Pièmont et la Lombardie, á Naples, en Sicile, á Rome, l’expirience en fut faite du consentement de tous. On en a vu le rèsultat, partout le même». Gravi furono certo gli errori dei principi, e io non li dissimulo nella presente opera. Ma i piú di tali errori, e quelli specialmente che mandarono tutto in rovina, nacquero dai falli dei repubblicani e non avrebbero avuto luogo senza di essi. Senza l’apostolato del Mazzini e de’ suoi consorti, l’unione non si sarebbe differita, Carlo Alberto e l’esercito non si sarebbero raffreddati, il re di Napoli non avrebbe avuto un pretesto per richiamar le sue truppe, a Pio nono non sarebbe entrato il sospetto che il riscatto d’Italia potesse nuocere alla religione; e né in Piemonte nè in Toscana né in Roma la setta municipale avrebbe potuto alzar la cresta, impadronirsi dello Stato, favorire la mediazione, suscitare e nutrire le gelosie dei governi e gli scrupoli del pontefice. Egli è dunque assolutamente falso che i fautori della monarchia civile abbiano potuto «sperimentarla col consenso di tutti e senza opposizione». Forse i giornali che in Milano e in Venezia calunniavano l’esercito sardo e il re liberatore non erano un ’«opposizione»? forse i ritrovi repubblicani di Roma non erano un’«opposizione»? forse la sommossa di Livorno non non fu un’«opposizione»? forse la morte del Rossi e del Palma, gli applausi all’assassinio, la forza al Quirinale, la Costituente di Toscana e la repubblica di Roma non furono un’«opposizione»? e se la monarchia civile non riusci nell’intento di salvar l’Italia, forse la repubblica fu piú fortunata? non è anzi ella che spense gli ordini liberi nella bassa Italia, la mise in servitú degli esterni e compiè la ruina del Risorgimento italico? Se coloro che ebbero parte a tali errori, in vece di confessarli generosamente o almeno tacere, credono di poter corrompere la storia, s’ingannano di gran lunga. E senza giovare alla propria fama noceranno a quelle idee che hanno care, imperocché ninna causa può vincere se impugna la veritá.