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riuscita. Quello del re subalpino era generoso ma non abbastanza netto di considerazioni, di affetti e d’ interessi personali. Le rappresaglie di un principe che sente offeso nella propria persona il suo popolo sono certo legittime e sante, poiché si confondono colla giustizia. Ma Carlo Alberto sventuratamente divideva troppo Tesser suo da quello d’Italia, la sua gloria particolare dal bene pubblico, mettendo questo a ripentaglio piuttosto che far cosa che nella sua opinione potesse diminuire la pienezza di quella. Né aveva un vero concetto della nazionalitá comune: mirava piuttosto ad accrescere i suoi domini, secondo la volgare ambizione dei re e la vecchia pratica di casa Savoia, che a redimere la penisola; onde l’assunto suo, benché altamente nazionale in mostra, teneva in effetto del municipale. Municipali erano stati gli apparecchi militari, cioè bastevoli alla difesa del Piemonte, impari a quella d’Italia; segno che l’impresa non era stata voluta né preveduta e che il re sardo non avea per tal rispetto seguito il consiglio del Machiavelli, «facendo, con industria, capitale dei tempi pacifici per potersene valere quando si muta la fortuna»1. Né il ministro Broglia seppe o volle ricuperare il tempo perduto; onde l’esercito passò il Ticino, che il Tedesco era giá fuor di Milano, stata sola al cimento e alla gloria di metterlo in fuga; il che la raffreddò all’unione e diede forza ai bramosi di repubblica.

Il non volere od osar bandirsi di proprio moto signore dell’alta Italia fu errore di mente, o che nascesse da timiditá naturale o da scrupolo di legale osservanza o da capriccio di generositá cavaliera e fuor di proposito. Ma colpa di ambizione e di boria dal canto del principe fu il pigliare la condotta di un’opera che soverchiava di gran lunga la capacitá sua, per non averne a partire con altri la gloria. Non solo Carlo Alberto «non aveva in alcun modo la mente di capitano»2 ma era digiuno, com’è notorio in Piemonte, fin dei primi elementi della



  1. Princ., i4.
  2. Pepe, L’Italia ecc., p. ii8.