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capitolo decimoquarto 135


somme Carlo di Spagna e Michele di Portogallo, non pensava a «ordire una lega» e «portar la bandiera dell’indipendenza» contro l’Austria. Il principe che incatenava la stampa, proteggeva i gesuiti, dava loro in balia l’educazione, penava a concedere liberali riforme anche quando Pio nono ne avea giá dato l’esempio, e incominciava il suo regno con politiche carnificine, non si proponeva di «educare i suoi popoli al sistema rappresentativo». Le giustizie del trentatré furono orrende e inescusabili anche a detta del signor Gualterio1, e superarono per ogni verso quelle di dodici anni prima. Le quali punirono una rivoluzione formata e compiuta; le altre, una semplice congiura di nessun polso. Quelle si esercitarono in due soli uomini, la cui reitá (secondo gli ordini antichi del regno) non avea



    e per molti anni. In secondo luogo ripugna a ciò che afferma ivi medesimo l’illustre autore, dicendo che «il re voleva comandare personalmente, tutto vedere co’ suoi occhi e padroneggiare l’andamento degli affari» (ibid., p. 25). Il che è verissimo, e chiarisce non solo impossibile che i predetti operassero di proprio molo, ma che il Solaro contro gli ordini regi «trascurasse le relazioni con la Prussia e coll’Inghilterra» (ibid.) e sovvenisse i pretendenti di Portogallo e di Spagna; presupposto che troppo ripugna alla natura ombrosa del principe e al genio timido e servile del ministro medesimo. Chi conobbe l’uno e l’altro ha per fermo che il secondo non fece niente d’importante senza il consenso espresso o almen tacito e presunto del primo; il quale, mantenendo in seggio un tal uomo, mostrava qual fosse il suo proponimento. 11 signor Gualterio ciò reca in piú luoghi al desiderio di non irritar l’Austria con un ministro liberale e di bilanciar nel Consiglio le due fazioni contrarie. Ma se colai bilancia veniva rivolta a preparare l’indipendenza, era troppo strano l’assegnare gli affari esterni a un nemico sfidato di essa; e l’Austria si polca tranquillare, preponendovi un uomo di cui il re fosse sicuro e che, non avendo nome né precedenze politiche, non desse paura a nessuno. Quanto piú si esamina il procedere di Carlo Alberto nei tempi che precorsero l’ultimo lustro della sua vita, tanto piúuapparisce contraddittorio all’ipotesi del suo apologista; dove che tutto si spiega a meraviglia, se si suppone ch’egli mirasse non mica all’Italia e alla libertá ma solo al Piemonte e alle riforme legislative e amministrative. In questo modo Carlo Alberto concorda a se stesso: si capisce il componimento dei liberali favorevoli al progresso coi retrogradi tenaci dell’assoluto; si capisce l’eccessivo timore dell’Austria, incompatibile colle idee di un uomo che mulinasse la redenzione d’Italia e conoscesse lo stato di Europa dopo il trenta; si capisce la potenza del conte della Margarita, la scelta degli ambasciatori e via discorrendo. Si capiscono finalmente gli apparecchi militari, baste-voli alla difesa, insufficienti all’offesa. Il che tanto è vero che anche nel quarantotto si dovette differire (con grave detrimento) il passaggio del Ticino per difetto di preparazione; onde si vede quanto tardi l’irresoluto animo del re abbia fermamente abbracciato il concetto della guerra patria.

  1. Op. cit., parte i, pp. 649-652.