Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/138

134 del rinnovamento civile d'italia


Strano in vero sarebbe stato il preludio, se chi mirava dalla lunga a stabilire la libertá e la nazionalitá in Italia si fosse apparecchiato all’opera violando l’una e l’altra in un paese vicino e presso un popolo nobilissimo. Perciò il benigno presupposto del signor Gualterio, che fin d’allora e nei principi del suo regno Carlo Alberto si preparasse «a portar la bandiera dell’indipendenza»1, «ottenere una lega fra i diversi Stati italiani»2 e «educare i suoi popoli al sistema rappresentativo»3, non può esser fatto buono senza grave anacronismo, qual sarebbe il trasportare a quei tempi i pensieri che gli entrarono nell’animo molti anni dopo. Né vale l’allegare in prova certe parole scritte privatamente o profferite poco innanzi al morire, le quali paiono conchiudere che il disegno del riscatto italico non avesse in lui posa per un solo istante. Ben si sa come anche senza impostura l’amor proprio inganni l’uomo in simili casi e gli faccia parere antico ciò che è nuovo, continuo ciò che è interrotto, costante ciò che è sfuggevole; come trasformi le velleitá in desidèri e induca anche i buoni a un po’ di esagerazione per iscusa innocente di se stessi e per far buona mostra nel cospetto dei posteri. A ogni modo la veritá storica sarebbe ita se le parole bastassero ad annullare i fatti, i quali nel nostro caso escludono manifestamente le chiose benevole immaginate dal signor Gualterio. Certo il principe che ammogliava il suo primogenito a una principessa austriaca e affidava per tanti anni la politica esterna al conte Solaro della Margarita, permettendogli di darle un pessimo indirizzo, di spedire alle corti straniere oratori retrogradi4 e di soccorrere con laute



  1. Op. cit., parte i, p. 656. «La sua vita fu tutta consacrata alla nostra indipendenza» (ibid., p. 528).
  2. Ibid., parte ii, pp. 23, 24.
  3. Ibid., p. 39.
  4. Il signor Gualterio nomina fra gli altri il Broglia, il Carrega e il Grotti come uomini che «tradivano le intenzioni di re Carlo Alberto» in Roma, in Toscana e in Isvizzera; e imputa al conte Solaro la cattiva scelta (ibid., parte ii, pp. 25-28). Ma questo in primo luogo presupporrebbe in Carlo Alberto una semplicitá incomprensibile, qual si era il lasciare che le commissioni piú importanti si dessero agli uomini men capaci di eseguirle; e ciò, non una volta e per poco, ma di continuo