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l’eccessivo di tali lodi. Degno di singolare commendazione è il pietoso concorso dei toscani e di molti esuli italici nell ’onorar le ceneri e la memoria dell’estinto, quasi pegno e attestato di amorevole fratellanza verso il Piemonte e di riconoscenza verso la patria sua impresa. Non vorrei né anco dar biasimo ai ministri di Novara, paragonandoli ai farisei rimproverati da Cristo perché innalzavano monumenti ai profeti trucidati dai padri loro(P; imperocché, celebrando Carlo Alberto, essi fecero atto di giustizia e porsero un tardo compenso all’uomo che riconobbe da loro la disfatta, l’esautorazione e la morte. Con ragguaglio piú appropriato e onorevole si possono assomigliare agli antichi romani, i quali deificavano i principi defunti e li mettevano in cielo dopo avergli uccisi.

Sia stato pure opportuno l’eccedere nel preconio quando era fresco il dolore, ché l’affetto non va colle seste e le ampliazioni oratorie non sono uno storico giudicato. Ma gli onori funebri non debbono essere perpetui e vogliono, passato un certo tempo, dar luogo alla veritá. Gl’italiani debbono ormai sentire di Carlo Alberto in modo degno di un popolo libero, e cansare quelle esagerazioni che nocciono piú ancora dei biasimi alla fama del trapassato. Le iperboli tolgon la fede, le lodi false cancellano le vere; e i difetti, gli errori, i traviamenti del re sardo son noti a tanti che il volerli coprire dá presa a chi gli amplifica e si studia di accumulare sulle ceneri auguste ogni sorta d’ infamia. Il che non fu avvertito dal signor Gualterio, il quale nella sua istoria, mosso da buona intenzione e pieno di sdegno contro gl’iniqui accusatori, cadde nell’eccesso opposto e, volendo giustificare le colpe, diede in un certo modo credito alle calunnie. E nocque anche alle altre parti del suo lavoro, perché la storia non ha fede se si muta in preconio e orma le tracce di Velleio e del Giovio anzi che quelle di Tacito e del Machiavelli. Perciò il parlare di Carlo Alberto con giudizio imparziale di storico anzi che con entusiasmo di oratore o di poeta dovrebbe ormai venir conceduto anche dai fervidi amatori, con tutto che essi testé

(i) Lue., xii, 47.