Pagina:Gelli - Codice cavalleresco italiano.djvu/199


Libro terzo 173


ART. 293.

Gli stessi obblighi e gli stessi diritti (si ripete) dei rappresentanti spettano ai giudici d’onore, e perciò qualunque sia la natura della vertenza sottoposta al loro giudizio, i giudici e gl’interessati tutti impegnano tacitamente la parola d’onore di conservare il più scrupoloso silenzio, sulle cause della vertenza, sul procedimento e sulla discussione nel giurì, come su tutto quanto venne a conoscenza del giurì per la missione affidatagli, e ciò anche dopo la pubblicazione del verdetto (art. 71, 72, 73).

Nota. — Verrebbe meno al proprio dovere, sì da rendere discutibile la sua permanenza nel giurì e nullo il verdetto, quel giudice il quale durante il giudizio rendesse sospetta la propria imparzialità con la frequenza di abboccamenti con i rappresentanti che lo hanno nominato, o con il loro primo; ma sarebbe venuto meno all’onore, se avesse comunque eccitato, prima o durante il giudizio, altri a deporre pro o contro una delle parti. La parte lesa in tal caso ne darà avviso al Presidente del giurì, il quale fatte le opportune indagini e provato il fatto, inviterà il giudice a ritirarsi per non dare motivo di nullità del verdetto. Codesto principio di rettitudine scrupolosa si trova consacrato nei lodi delle seguenti Corti d’onore: Firenze (permanente), del 6-6-1903; Milano del 6-8-1904; Genova, del 4-2-1906; di Torino 3-8-1921, nei quali concordemente si stabilisce che «se è abbietto propalare commecchessia fatti e circostanze conosciute per dato e fatto della funzione di giudice, è abominevole in materia d’onore per un giudice eccitare testimoni a deporre in danno di uno o di ambedue i giudicabili, perchè, in tal caso, la dimenticanza della imparzialità si tramuta in un vero e proprio atto di subornazione, che renderebbe nullo il giudizio, e degno di squalifica il giudice».