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rore, di cui, a mio avviso, non è possibile il maggiore; dove si consideri nelle sue conseguenze, sendochè gli alunni s’informano per lo più delle massime de’ loro precettori. Ma poniamo che tale errore sia un’illusione mia, e vediamo come il nostro autore c’istruisca nella modulazione. Egli pone a principio fondamentale che «per far passaggio a ciascheduno dei toni, accordi perfetti, toniche, primi gradi, prime del tono, o scale esistenti in musica (eh è tutt’uno)» (tuono e tonica è tutt'uno! Scala e prima del tuono è tutt’uno!) «debbonsi sempre impiegare uno o più» accordi intermedj fra quello da cui si parte, e quello a cui si va». La pratica di questo principio fondamentale (che pur è soggetto a controversia) «si potrà ottenere» così il Quadri «coi seguenti mezzi, impiegandoli a propria scelta.» I mezzi sono questi: 1.° Prossimità dei suoni; 2.° Comunanza dei suoni; 3.° Note sensibili; 4° Cambiamento dei segni accidentali; 5.° Differenza delle terze; 6.° Successione delle seste; 7.° Trasformazione delle note; 8.° Cambiamento di numerica ad una stessa nota.

Il primo mezzo, che è quello della Prossimità de’ suoni, verte sulla disposizione delle parti, o per meglio dire, niente più che sul notissimo divieto delle due 5.e e delle due 8.e consecutive, e sulle tre specie di moto, retto, obliquo e contrario, nel che il nostro autore fa consistere tutta la teoria del Contrappunto, soggiungendo che tutto il resto debb'essere studiato sulle opere classiche, e che d’altra parte ogni teoria riescirebbe inutile. Il ripiego, a vero dire, non è cattivo, e tanto meno perchè c’indica i Salmi di Marcello come una miniera di bellezza in questo genere, e il maestro Zingarelli, fra i compositori viventi (1), come quello che questo genere perfettamente conosce. E dopo alcune succinte riflessioni (che per brevità tralascio di esaminare) sul modo di studiare la disposizione delle parti, è notabile la seguente conclusione del suo articolo: «La disposizione delle parti, rigorosamente parlando costituisce lo studio del contrappunto, chiamato anche stile «severo» Contrappunto e stile, signor Quadri, sono due parole che hanno un significato ben diverso; quella significa, come avete detto, disposizione delle parti, questa una qualità speciale dell'armonia). «Anticamente il contrappunto era la sola teoria di composizione che s’insegnava nelle scuole perchè altra musica non si conosceva, che quella fatta in contrappunto, ma ora che, dietro ai tentativi degli uomini di genio, si sono ritrovati tanti effetti diversi di melodia, d’armonia, di accompagnamenti di orchestra, ecc., ecc.,» (ora non si scrive più in contrappunto! si mettono là le parti, come vengono!... Ma sentiamo il resto) «cose tutte che si esigono nel compositore sin dal primo momento ch’egli si produce al pubblico, la teoria del contrappunto che dapprima era il maximum del sapere musicale, ne è adesso divenuta un leggiero iniziamento» (zitto, signor Quadri, per carità, zitto: che altrimenti farete prova di non saperlo il contrappunto); «anzi pel metodo di cieca pratica con cui si continua ad insegnarlo ancora al presente, erve piuttosto a scoraggiare il talento di un giovane, che ad eccitarne lo sviluppo.» Oh, vedete chi parla! Sarei quasi per dire. Di grazia, signor Quadri, fatene vedere la vostra illuminata teoria del contrappunto, che sopperisca alla cieca pratica usata a’ giorni nostri? Ma fatenela vedere a tempo più opportuno: per ora voi avete promesso d'insegnarci a modulare, non a distribuire le parti.

(Sarà continuato)



CRITICA

MOZART E I SUOI CRITICI.

Ne piace riprodurre il seguente articolo che leggesi nel N.° 5 del Figaro e che concorda pienamente colle idee, più volte da noi manifestate, per ispiegare le ragioni cui è da attribuire il poco amore degli Italiani alla musica de’ grandi compositori stranieri. Ameremmo vedere più! spesso trattati nei nostri, fogli letterarii simili quistioni riguardanti gli alti interessi dell’arte cui è specialmente dedicata la nostra Gazzetta. Solo dalla concordanza di molti sforzi ad un medesimo scopo è da sperare quel profitto negli studii musicali che forse non può ottenersi se non lentamente e per gradi, ove un solo giornale vi dedichi le proprie fatiche e i proprii voti.

Lo scritto del signor Vanetti intorno a Mozart e a suoi critici merita l'attento esame di coloro che, al pari di noi, abborrono in ogni cosa lo spirito di esclusione e stimano giustizia far buon viso ai capolavori delle arti, a qualunque genere e nazione appartengano.

La rappresentazione del Don Giovanni nel Teatro Grande di Trieste, e le fra loro tanto svariate e contrarie opinioni che nel pubblico ed in qualche giornale si fanno sentire, tanto sul merito di tal lavoro, che sull’opportunità di portarlo nuovamente in sulle scene, mi lasciarono scorgere da quali principii d’arte e buon gusto musicale partissero quelli i quali più o meno apertamente si mostrano avversi a quel grido d’ammirazione e d’entusiasmo che da mezzo secolo in qua accompagna questo capolavoro su tutti i teatri d’Europa, o quelli che nel senso più propizio non ne ammettono la opportunità della rappresentazione scenica; perchè, secondo essi, starebbe in opposizione al gusto musicale del giorno.

Epperò, partendo da un punto d’analogia che quasi da sé mi si affaccia, non posso non ricordarmi di que’ benemeriti letterati che non videro nel vasto campo della poesia altri eroi dopo Titiro e Melibeo, e che meritamente furono appellati - i pastori della beata Arcadia. - Avvenne pur a quelli dabbenuomini che, affaticando a tutta possa per rinvenire la millesima ed una variazione del loro unico, eterno ed invariato tema, l’amore, incontrassero per accidente in un volume, che tutti conoscono ed altamente oggi esaltano nel titolo appostogli dallo stesso autore, chiamandolo La Divina Commedia, e divina sotto tutti i rapporti! Già qualche favilla da tanta luce penetrava nelle teste dei nostri dottissimi; ma.... buon Dio!....

Pape Satan, pape Satan alepe
Rapel mai - Amuh Zah almi
Tatemich - Austerich - crich.

Quale orrore! Que’ valentuomini gittarono il libro, e tornarono indefessamente a rimare - amore - odore - etra - faretra - ohimè! -nonsochè - così è.....e le pecore d'Arcadia detronizzarono Dante.

Pressoché in tal guisa la intendono oggi alcuni critici sopra Mozart.

A sentire questa brava gente, il valtz avendo detronizzato il minuetto, avrebbe col minuetto detronizzato il capolavoro di Mozart.

A sentire questa brava gente tutto il Don Giovanni consisterebbe in quelle quattro battute di minuetto! Hanno il coraggio di rivocarne in dubbio la popolarità, quandoché da un mezzo secolo si regge in faccia alle società più illuminate e civili. Hanno l’avventataggine di dire che dopo il Guglielmo Tell, il Don Giovanni non può più appartenere alla scena, ma alla storia del teatro; che tutt’al più i soli settuagenarii potrebbero fargli grazia ai quali può arrecare il convincimento, che come in fatto di musica, così in fatto di morale il tempo presente avvantaggiò sull’antico, e via via con altre consimili facezie, prendendola coll’abate Da Ponte di buona memoria: al quale, se può essere rimproverata qualche licenza, non può essere certamente rimproverata l’ipocrisia umanitaria, colla quale ci si regalano tutto giorno certe perle diseppellite fra i truogoli e le macerie. No! alcune forme disusate, la severa semplicità della frase, l’economia dei mezzi d’orchestra, non bastano per condannare a siffatto giudizio il Don Giovanni.

Chi ha buon gusto e senso musicale saprà, malgrado a ciò, rinvenirne ed apprezzarne le sovrabbondanti bellezze. No! il valtz, o per meglio dire alcuni dei moderni genii da valtz, non hanno per anco detronizzato Mozart, ossia il minuetto, come dicono i sapientissimi.

Il vero bello è bello per tutti i tempi e per tutti i paesi. Chi sa, per mo’ d’esempio, degnamente apprezzare il Guglielmo Tell di Rossini, non può non essere compreso d’uguale ammirazione pel Don Giovanni di Mozart. Chi conosce il tempo in cui scrisse ed i mezzi con cui scrisse Rossini, non si attenti di defraudare Mozart del titolo di novatore per attribuirlo unicamente all’altro. Chi deprime l’uno per innalzar l’altro mostra di non comprendere né questi, né quello. Peggio per essi! Costoro fanno riverenze a Manzoni per abbassare l'Alfieri, e schifano Dante per darsi alle smancerie del Cavalier Marino. E tutto ciò a coro, all’impazzata, senza darsi ragione né delle preferenze, né dei biasimi. Seguono la moda, il capriccio per non dire l’influenza di qualche movente ancor più riprovevole.

Non così il pubblico. Nel suo proprio istinto altamente estetico, applaude con eguale trasporto e all’Oreste d’Alfieri e al Carmagnola o all‘Adelchi di Manzoni, al Guglielmo Tell di Rossini e al Don Giovanni di Mozart. Certamente che il pubblico, scevro da ogni preoccupazione, prende le mosse del suo giudizio dall’esecuzione. Epperò per venire al caso in termini se l’esecuzione di tutti i pezzi del Don Giovanni che ora si va rappresentando nel Teatro Grande di Trieste fosse uguale in precisione ed in colorito a quei molti che vengono di sera in sera applauditi

con maggiore trasporto, non avremmo forse a deplorare la facilità e l’improntitudine dei giudizii sul merito di un capo.SEGUE IL SUPPLEMENTO

  1. (I) Si rifletta che ciò è detto nella terza edizione delle lezioni d’Armonia, fatta nel 1841, e riveduta dall’autore.