Nell’isola famosa de’ Sicani
Di Tindari la spiaggia, e Cefaledi.
Ma se d’Italia sopra il santo suolo
In Ipponio verrai dove corona.
Hanno i Bruzii di mar, colà vedrai
I tonni più eccellenti, che la palma
Portan, vincendo di gran lunga gli altri.
Ma tra’ Bruzii e tra noi di là vagante
Pelaghi molti traghettando in mezzo
Al mar fremente questo pesce arriva.
Però da noi fuor di stagion si pesca48.
T’abbi la polpa, che di coda è nodo,
Di quel pesce ch’è femina di tanno,
Il quale è grande, e per sua patria vanta
Il bizantino mar; tu quella in pezzi
Tagliata arrosti ben, di fino sale
Spargendola soltanto, e d’olio ungendo.
Poscia i pezzi ne mangia e caldi e intrisi
In forte salsa, e se ti vien la voglia
Asciutti di mangiarli, ancor gustosi
Questi ritrovi: per sapor, per vista
Degl’immortali numi in ver son degni;
Ma perdon tosto il pregio lor se aceto
Spargendovi li rechi alla tua mensa49.
Il salume del Bosforo è degli altri
Bianco assai più, ma della dura carne
Nulla ci rechi di quel pesce, il quale
Nella padule di Meote ingrossa,
E in questo metro nominar non lice50.
In Bizanzio arrivando, un pezzo piglia
Di pesce spada, e sia di quella polpa,
Che della coda la giuntura veste.
Saporito tal pesce ancor si pesca
Dello stretto nel fin verso Peloro51.
Di tonno di Sicilia un pezzo mangia,
Di quel che a fette conservar salato
Nell’anfore si suol; ma la saperda
Che di Ponto è vivanda, e que’ che lode
Ne fanno, io voglio che compiangi a lungo:
Pochi san tra’ mortali esser quel cibo
Vile e meschin. Ma a te convien senz’altro
D’aver lo sgombro per metà salato,
Quasi ancor fresco, posto da tre giorni
Dentro d’un vaso, e prima che si stempri
In acqua salsa. Se di poi tu giungi
Nella santa città della famosa
Bizanzio, allora del salume oréo
Un pezzetto per me mangia di nuovo
Che veramente è saporito e molle52.
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Son molti i modi e molti li precetti
Di preparare il lepre, ma eccellente
È quel d’apporne in mezzo a’ commensali,
Cui punge l’appetito, per ciascuno
La carne arrosto sparsa sol di sale,
Calda, dallo schidon crudetta alquanto
Strappata a forza; nè t’incresca il sangue
Che ne vedi stillare, anzi la mangia
Avidamente. Inopportuni e troppi
Son del tutto per me gli altri apparecchi
Di molto cacio, di molto olio e untume,
Come se a gatti s’imbandisse mensa53.
Insiem prepara un grasso paperino
E questo ancor vo’ che soltanto arrosti54.
Grinze e all’alber mature abbi le olive55.
A cena sempre di ghirlande il capo
D’erbe cingi e di fior, di cui s’adorna
Il ricco suolo della terra, ed ungi
La tua chioma di fin liquidi unguenti;
Su lento fuoco di continuo spargi
Mirra ed incenso, che d’odor soave
Siria produce. Ma finito il pasto
Quando cominci a ber ti rechin questi,
Ch’io ti dico, piattel, ti rechin cotti
Ventre o vulva di scrofa, che conditi
Sien di silfio cimino e forte aceto,
E teneri augellini arrosto fatti
Quelli che porta la stagion dell’anno.
Nè questi abitator di Siracusa
Tu cura, i quali, come fan le rane,
Senza nulla mangiar bevono solo;
Non seguir l’uso loro, i cibi mangia,
Che t’indicai: tutti quegli altri, e mela
E fave e ceci cotti e fichi secchi
Per sè di turpe povertà son mostra.
Ma pregia il confortin fatto in Atene;
Che se questo ti manca, e d’altro luogo
Vieni forse ad averlo, almen ti parti,
Cerca l’attico miele, è questo appunto
Che fa di Atene il confortin superbo.
Convien così che liber’uom si viva
O pur sen vada giù sotto la terra
Sotto l’abisso il tartaro a rovina,
E per i stadii che non hanno numero
Lontan sotterra se ne stia sepolto56.
Quando l’ultimo nappo a Giove sacro
Liberator colmo ti rechi in mano,
Il vecchio vin bevrai, che il capo innalza
Molto canuto, e tutta gli ricopre
Candido fior l’umida chioma, vino
Che la cinta di mar Lesbo produsse.
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