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CAPITOLO LIV.

SUBIACO.

.   .   .   .   .   .   .   .   .   Firenze!
     Te beata, gridai; per le felici
     Aure pregne di vita e pei lavacri
     Che da’ suoi gioghi a te versa Apennino.
     (Foscolo).


È Subiaco, come Firenze, chiave dell’Apennino, ha le convalli popolate di case e di oliveti, e collocata nella gola d’una di quelle profonde vallate che mettono alle alte cime della Sibilla, quasi eternamente coperte di neve, riceve anch’essa i benefici e limpidi lavacri dell’Apennino.

Solo la pianta prete appesta quelle magnifiche contrade ed inaridisce quanto di bello vi prodigò natura. Là, come dovunque ove alligna il veleno, l’uomo vi è ignorante ed abbrutito e curvo, malgrado l’essere di robusta costituzione.

Uno degli oltraggi più dolorosi — a cui si va esposti nell’apostolato umanitario — è quello certamente che viene dal popolo, per cui l’uomo onesto è sempre disposto ad affrontare ogni specie di disagi e sovente la morte.