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capitolo xli 217


cittadino, a fiutare ancora quei campi di battaglia, ove deciderannosi le sorti di buon numero dei tuoi figli, schiavi dello straniero.

Rovistando fra i cantori delle grandezze umane, io trovo un Britanno che cantò degnamente di te, ed a cui l’Italia deve veramente eterna gratitudine. Byron! Il gran vate, e l’eroe delle Termopili, ricordò che accanto alle meraviglie dell’Ellade, potevano stare le maschie virtù del tuo grandissimo popolo.

Non così i grandi nostri favoriti dalle muse, tranne il colosso Astigiano: la maggior parte dimenticarono alquanto che Italia era stata la dominatrice dell’orbe, l’istitutrice delle generazioni presenti, quando Repubblicana. — E quando il cantore dei Sepolcri, negl’immortali suoi versi eternò Milziade ed i suoi valorosi di Maratona, egli non pensò certamente alle legioni vincitrici della falange macedonica.

Eran trecento — Sì! trecento i giovani romani che agli ordini di Muzio tramavan la liberazione di Roma. Trecento! I posteri italiani ricorderanno i Mille di Marsala, e ne conteranno le gesta: io voglio rammentare i trecento, numero magico anche questo, e nulla di più grandioso dei trecento di Leonida e dei trecento Fabii1.

Ed i trecento Romani che si consacrano alla liberazione della grande Metropoli, mi piace di


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  1. Mi piace qui ricordare anche i miei giovani trecento dell’Università Romana del 49 che tanto si distinsero nel glorioso 30 aprile di quell’anno.