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unica consolatrice; e colla melodia del verso ne chetava il pianto (Framm. XXVI). Avrà cercate, ancora cavate, dolcezze dall’amore: ma Amore, che per Socrate era sofista, per Saffo era dolce-amaro, datore di molesti doni, ciurmadore (γλυκύπικρον ἀλγεσίδωρον μυθοπλόκον; Massimo Tirio, Dissert. XXIV). E come le vittime venivano inghirlandate innanzi che sagrificate, la Musa di Mitilene piacevasi, al paro d’Alceo, di coronarsi d’aneto e d’appio (Polluce, VI, 19, 107; Scoliaste di Teocrito, VII, 63); e quelle corone allegre assai delle volte, contrastando, avranno doppiato mestizia alla poesia mesta!

XII. — De’ traduttori italiani, brevissimamente. Molti furono: alcuni, come l’Anguilla e il parafraste Cappone, pessimi; pochissimi buoni; compiuto d’ogni eccellenza niuno. Quale voltò un’Ode, quale ambedue; quale un frammento, quale un altro; e taluno parecchi e i men brevi. Ecco il novero dei traduttori conosciuti da me. Traslarono l’Ode I Giambattista Possevini, Antonio Conti, Ippolito Pindemonte e Stefano Valletta; e in prosa Niccolò Tommaséo e Francesco Domenico Guerrazzi; l’Ode II Francesco Anguilla, Ugo Foscolo, Paolo Costa e Giovanni Marchetti; ambedue le