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ricordo il verso, ma non ricordo né il luogo né il nome, chiama il leone

          Il fulvo imperador della foresta;

o fors’anche fu quel dilicato colore tra il nero e l’aureo, di cui scrive Ovidio: Amor., i, elegia xiv, 9.

Nec lamen ater erat, neque erat tamen aureus illis,
     Sed, quamvis neuter, mixtus uterque color.
Qualem clivosae madidis in vallibus Idae
     Ardua direpto cortice cedrus habet.

Peleo padre di Achille è detto biondo da Catullo in quel poemetto ove mi paiono stemperati tutti i colori di Lucrezio e di Virgilio, v. 97:

     Qualibus incensam jacltastis mente puellam
     Fluctibus, in favo saepe hospite suspirantem!

Né meraviglierai di tante chiome bionde, e sì passionatamente cantate: erano in altissimo pregio in Roma; e da un passo di Catonempresso Servio ( Eneide, iv, 698), appare che le matrone si fingessero bionde: Flavo cinere unctilabant, ut rutilae essent. Ed affettavano chiome bionde le donne amorose ed eleganti sin da’ primi giorni della repubblica. Ovid. Fast.ii, v. 763:

Forma placet, niveusque color, flavique capilli,
     quique aderat nulla factus ab arte decor.

Delle parrucche bionde parlano Marziale e molti de’ moderni. Ovidio allude a’ crin biondi, di cui faceano traffico i compratori degli schiavi germani (Amor. i, elegia xiv, 45), quando l’amica del poeta perdé le chiome:

Nunc tibi captivos mittet Germania crines.

Del vario modo di comporre le chiome, vedi Ezechiele Spanhemio Observationes in Callim. Cerere, v. 5. Claudiano nell’epitalam. dì Onorio, v. 49, descrive l’antico uso delle acconciature. Parimenti Apollonio (lib. iii, v. 45), parlando di Venere.