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altri più dotto e più curioso di siffatti studi supplisca; ch’io, per me, ho decretato di usare dell’ingegno più a fare da me che a mortificarlo sulle opere altrui. Nè mi sarei accinto a farla da commentatore se in questa infelice stagione non avessi bisogno di distrarre come per medicina la mente ed il cuore dagli argomenti pericolosi1, a’ quali attendo per istituto. Così Catullo sebbene per la tristezza allontanato dalle vergini Muse, tentava nondimeno l’obblio della sua sciagura, traducendo per Ortalo questo medesimo poemetto2. E me pure confortò la brevità di questi versi; e mi strinse la loro meravigliosa bellezza. Non credo che l’antichità ci abbia mandata poesia lirica che li sorpassi, e niuna abbiano le età nostre che li pareggi. Però, dopo averli illustrati,

  1. Lucrezio, lib. i, vers. 42.
  2. Nella dedica ad Ortalo. Carm. lxiv.