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118 vii - viaggio sentimentale di yorick


Poich’ebbi finito, gittai la foglia dalla finestra, e avrei gittato anche quella cartaccia: se non che, correndo cogli occhi sul primo verso, m’invogliai del secondo e del terzo, e mi parve peccato a gittarla. Trassi una seggiola accanto alle invetriate, le chiusi, e mi assisi a leggere.

Era in istile francese di quel vecchio del tempo di Rabelais; e, se non temessi di dir male, direi che ne fu esso l’autore. Era inoltre in caratteri gotici, e sí sbiavati dall’umido e dall’età, che ebbi a penare a cavarne costrutto. E talora lasciai da parte quel foglio, e scrissi una lettera ad Eugenio; lo ripigliai, e tornai all’agonia dell’impazienza: ed io per guarirne, scrissi una lettera a Elisa, ma col pensiero vicino sempre a quel foglio, perché la difficoltà m’istigava a diciferarlo.

Desinai; e, poiché una bottiglia di prelibato vino di Borgogna mi ralluminò l’intelletto, mi ci misi piú di proposito: e, dopo tre ore di meditazione indefessa (Gruttero e Iacopo Spon1 non si stillarono forse tanto il cervello sopra una melensa iscrizione), parvemi d’avere una volta còlto nel segno. Ma, per accertarmene, giudicai di tradurlo in inglese, e star a vedere che n’escirebbe; e cosí a mio bell’agio, come chi si trastulla, tradussi or una sentenza, or un’altra: e poi me n’andava su e giú per la camera, e alle volte guardava da’ vetri chi andava e veniva: si che battevano le nove della sera, ed io non aveva per anche finito. E, quando a Dio piacque, rilessi come segue:

LVIII

FRAMMENTO

Sendo che la mogliera del notaio s’incagnasse ad misdire et contradiare al notaio, il notaio si gettò a piedt la perghamena et disse: — Harrei caro vi fussi uno altro notaio ad rogare et

  1. Antiquari [F.].