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discorso quarto 265


e riferita ad una etá eroica, quando le idee delle cose sono per i governi e per le nazioni assai men metafisiche. Pur gli fu forza ricorrere ad incantesimi e macchine d’altre religioni, e sotto nomi diversi rappresentare le fantasie greche e romane. Non v’ha greca tragedia senza il cielo: delle moderne certamente le streghe in Shakespeare, i prestigi nella Semiramide e nel Maometto di Voltaire, l’Atalia di Racine, la fatalitá nella Mirra alfieriana, e molto piú l’ira divina nel Saulle, grandissima fra le tragedie, ci percotono piú di quelle che hanno per soggetto memorandi casi e passioni scevre di religione.

VI. Ma quale delle religioni reca uso stabile e continuato nella poesia? La greca; perché ha che fare con tutte le passioni e le azioni, con tutti gli enti e gli aspetti del mondo abitato dall’uomo. Testimonio il perpetuo consentimento di tutte le moderne letterature, le quali dal diradamento della barbarie hanno richiamati gli dèi di Virgilio e di Omero. Lucrezio, che appositamente persuadeva la materialitá dell’anima e la impassibilitá degl’iddii, invoca sua musa la natura1, ma idoleggiandola con le sembianze, le tradizioni e le passioni di Venere; e, mentre pur vuole dissipare lo spavento del Tartaro2, illustra la sua filosofia spiegando le allusioni teologiche. La religione ebrea, che può conferire alla poesia minacciosa e terribile, fugge ogni altro argomento; e perché non fu celebrata da molti e grandi popoli con diverse storie e vari costumi, e perché il terrore, senza la pietá derivante dalle altre soavi passioni, ignote a quella religione, si converte agevolmente in ribrezzo. S’io potessi domandare alle genti che verranno qual utile e quanto diletto trarrebbero dal poema della Germania, e se la Messiade può somministrare argomenti di tragedia e di pittura come l’Iliade, forse saprei che la curiositá di quel poema, grande per questi tempi e grandissimo per l’etá morte, sará rapita con le rivoluzioni, le quali porteranno nuove religioni e nuove favelle

  1. «Aeneadum genetrix ...», sino al verso 41.
  2. Lib. iii, verso 990 e sg.