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nevole che tanto tesoro stesse nascoso in quel la solitudine, e’ frati di Siena sentendo la sua virtù e santità mandaro per lui e fecerlo stare a Siena a mal suo grado. E nonestante che ben dieci anni stesse nel convento di Siena senza cella, però che ’nanzi a la mortalità del quarantotto, pe’ molti frati ch’erano, e per le poche celle, spesse volte erano de’ frati che ne pativano penuria; e come dice ’l proverbio sempre a cavalli magri s’appongono le mosche, e bene era egli uno di quegli al quale le mosche s’apponevano, cioè che perch’egli era perfetto obbediente, et ogni obbedienzia che gli era comandata faceva bene e lietamente; sicchè ogni dì si conveniva che egli andasse per l’accatto, e poi tornato a casa, ogni vile obbedienzia ch’era a fare per casa, sempre era comandata a lui. La vita sua era sempre in convento e de la vita conventuale non esciva mai, e nulla cosa da mangiare voleva mai ricevare da persona. Dell’altre cose che gli bisognava riceveva la sua strema necessità, e quelle riceveva da certe buone e devote persone che sapevano la sua condizione. Ed ebbe queste virtù singulari cioè, che dal dì che si fece frate, di veruna cosa che mai gli avvenisse non fu persona che mai l’udisse lagnare o dolersi. L’altra che mai non fu compreso