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l’on ne perçoit, avec le Périclès de Shakespeare, que la musique des sphères». In un poema «il y a d’abord et surtout de l’ineffable» e «tout poème doit son caractère proprement poétique à la présence, au rayonnement, à l’action transformante et unifiante d’une réalité mystérieuse, que nous appelons poésie pure». Ma che è mai questo mistero, questa magia, questo fluido contenuto in un verso? Sono le parole che sorpassano sè medesime; è l’infinito prigioniero dei suoni.

Un bel verso è il miracolo di un sentimento, di un’idea, di una visione infinita, che due parole, appaiandosi, fan prigioniere, «senza averne il diritto».

Quando un poeta concepisce una poesia, il suo volo è continuamente appesantito dall’ansia di non saperlo condurre a termine, e ciò che si chiama in genere ispirazione è la coscienza del momento propizio alla scrittura. Un’opera di poesia non può fiorire che alla sua ora, perchè prima non era ancóra matura, e dopo è già secca. Ci sono a ogni modo due maniere di catturar l’infinito, quella di tutti i classici e una moderna.

Fino al secolo XIX° i poeti, servendosi delle parole, non avevano ancor l’aria di mordere il freno. Le parole erano la necessità