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tiga subito dinanzi a sè e agli altri questo tremendo pensiero gridando (appena ha gridato «è morta»). «Portate dell’acquavite» che è come dire: è ancora viva. (L’acquavite è per Shakespeare la panacea di tutti i mali.) La scena dei parenti sul corpo di Giulietta morta è grottesca. In fondo è antiartistico mettere sul teatro questo momento di dolore, perchè nella realtà non si manifesta che in modo inimitabile — perchè non pensato — e qualunque rappresentazione è troppo forte di parole e troppo debole di risonanza, peccando insieme per eccesso e per difetto. Qui dà infatti un’impressione di falso atroce, aumentata dalla simmetria delle esclamazioni che vanno per tre, e dalle parole della nutrice che intensifica quelle della madre e ha quasi l’aria di farne una caricatura. Così:

Nutrice: «She’s dead, deceas’d, she’s dead: alack the day!»

La madre: «Alack the day! She’s dead, she’s dead, she’s dead.»

. . . . . . . .

La madre: «Accurs’d, unhappy, wretched, hateful day.»

. . . . . . . .

Nutrice: «O woe! O woful, woful, woful day!»

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