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plesso d’idee di guerre, d’eroiche imprese, subietto costante dell’epopea omerica. Or come avviene, che Esiodo, posta mente all’indole dei suoi poemi, si è così facilmente sottratto al dominio delle idee del suo tempo; non pensò, non sentì come pensò, sentì il popolo, in mezzo al quale nacque e crebbe? Nessun poeta, degno di questo nome, come nessun pensatore, sfugge all’influenza del suo tempo: Omero, Dante, Shakspeare, Racine, Voltaire, Schiller, Manzoni ne sono prova luminosa: nei monumenti dell’ingegno l’epoca s’impronta in tutti i suoi più decisi lineamenti, come un volto nel bronzo. Ora come può supporsi, che mentre Omero ritraeva con colori sì vivi guerre e stragi, Esiodo seguisse una via opposta? mentre Omero è poeta eroico, Esiodo divenisse un poeta teologo, cosmologo e moralista? come il materiale dei canti dei due poeti è così diverso, così diverso n’è l’intento?

Si può opporre, che due poeti contempora-